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Salva Milano, l’Istituto Nazionale di Urbanistica: “Effetti pericolosi e non risolutivi”

Talia (INU): la strada adottata presenta rilevanti controindicazioni che rischiano di innescare un’ulteriore confusione ed incertezza normativa, nonché effetti dannosi e potenzialmente irreversibili nel governo pubblico della rigenerazione urbana in Italia

giovedì 5 dicembre 2024 - Alessandro Giraudi

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Dopo i numerosi pronunciamenti dell’INU sul progetto di legge n. 1987 su “Disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata e di interventi di ristrutturazione edilizia connessi a interventi di rigenerazione urbana”, e dopo l’Audizione dell’Istituto alla VIII Commissione della Camera dei Deputati su questo stesso disegno di legge del settembre 2024, il Presidente Nazionale dell’INU ha ritenuto opportuno ritornare sull’argomento a seguito del voto favorevole della Commissione Ambiente e Territorio della Camera dei Deputati del 20 novembre e del trasferimento al Senato del testo emendato.

Nel ribadire la posizione già assunta dall’Istituto sul ddl 1987, Michele Talia ha ricordato che la norma appena approvata trae origine dalla necessità di assicurare certezza giuridica alle controverse interpretazioni della nozione di ristrutturazione edilizia e dei rapporti tra intervento diretto e pianificazione attuativa che stanno paralizzando i processi di rigenerazione e di trasformazione urbana in corso nel capoluogo lombardo. Ma se da un lato sono evidenti le urgenze e i problemi intercorsi posti alla base del disegno di legge, la strada adottata dai proponenti presenta rilevanti controindicazioni in vista del raggiungimento delle finalità che si intende conseguire, e che rischiano di innescare al tempo stesso un’ulteriore confusione ed incertezza normativa, nonché effetti dannosi e potenzialmente irreversibili nel governo pubblico della rigenerazione urbana nel nostro Paese.

Gli effetti più immediati

“Quanto agli effetti più immediati, l’aver affidato il superamento delle criticità presenti negli attuali strumenti di governo delle trasformazioni urbane ad un provvedimento legislativo di “interpretazione autentica”, che punta ad ampliare ulteriormente il campo di applicazione della ristrutturazione edilizia, sembra indebolire ulteriormente i poteri di indirizzo che sono a disposizione di amministrazioni e comunità locali per salvaguardare l’interesse pubblico nella rigenerazione urbana, e per favorire la difesa e lo sviluppo della qualità e delle dotazioni degli insediamenti e dei territori.

Dal momento che la giurisprudenza è chiarissima nel sostenere che negli ambiti urbanizzati è già ammesso il ricorso a titoli abilitativi edilizi, ma a condizione che l’amministrazione non abbia previsto nel piano un’esigenza di disegno, l’indirizzo che viene ora seguito espone probabilmente il nuovo provvedimento ad un attento controllo di costituzionalità, soprattutto laddove il ddl sembra voler effettuare un altro pericoloso passo in direzione dell’esproprio delle prerogative dell’urbanistica - che è soggetta come è noto a legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni - a vantaggio della regolamentazione dell’edilizia che il ddl riafferma come di competenza esclusiva dello Stato.

È necessario sottolineare che tale orientamento si è ormai affermato da tempo, ma non sappiamo se l’iter che viene indicato sia pienamente consapevole, o non costituisca piuttosto il frutto di una preoccupante povertà di visione. Quello che invece appare piuttosto evidente è che ampliare ulteriormente il concetto di ristrutturazione edilizia al fine di sottrarla alla verifica per legge dell’obbligo del ricorso alla strumentazione urbanistica attuativa comporta un’ulteriore contrazione del potere di indirizzo e di discussione delle comunità urbane sui cambiamenti della città. Con il deprecabile effetto di mantenere in capo alle amministrazioni locali un semplice controllo burocratico sugli interventi edilizi, e di favorire un ricorso crescente a titoli abilitativi sempre più semplificati e autocertificati.

Sia detto per inciso che la strada intrapresa dal ddl si rivela comunque accidentata, e che anche in una recente sentenza del Consiglio di Stato (la n. 40052 del 2 maggio 2024) si tende a raccomandare particolare cautela nel caso di interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano un ampliamento volumetrico. Per questi ultimi si sottolinea l’esigenza di ricorrere al permesso di costruire, e non alla sola segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), anche laddove l’incremento di volumetria preesistente sia espressamente consentito dal PRG o dalla legislazione regionale. A parere dell’INU questi rischi di sconfinamento e di successiva impugnazione pongono l’urgenza di intervenire sul disegno di legge con emendamenti non marginali, che potrebbero prevedere ad esempio il ricorso alla pianificazione attuativa e relativa verifica di assoggettabilità VAS in tutti quei casi in cui i nuovi interventi edilizi sono comunque tali da alterare in modo significativo gli equilibri insediativi codificati dalla pianificazione urbanistica vigente”.

I possibili effetti del ddl 1987 non sembrano confinati solo al breve termine

“Ma come abbiamo indicato in precedenza i possibili effetti del ddl 1987 non sembrano confinati solo al breve termine, se non altro perché il nuovo provvedimento si colloca in una filiera di interventi normativi (dai Piani Casa variamente denominati al Testo Unico Edilizia che è in fase di avanzata elaborazione) che pur a costo di una certa improvvisazione tradiscono l’intenzione di attribuire alle norme in materia edilizia il compito di esercitare un’azione di supplenza nei confronti di alcune questioni più propriamente urbanistiche, e che sono ancora in attesa di un’adeguata cornice legislativa (la non rinviabile legge di principi sul governo del territorio).

Si pensi ad esempio al passaggio del ddl in cui si allude alla vetustà e alla inadeguatezza del quadro normativo vigente definendolo “in attesa di riordino”, che lungi dal sollecitare il legislatore ad impegnarsi nel superamento di tali criticità, lo spinge a limitarsi ad individuare alcuni artifici interpretativi atti a consentire alle amministrazioni comunali di muoversi più speditamente nei processi di rigenerazione urbana mediante il ricorso privilegiato alla ristrutturazione edilizia. Con la conseguenza altresì di favorire l’impiego di titoli abilitativi a carattere automatico, ma senza i dovuti oneri e, soprattutto, senza l’obbligo di provvedere alla offerta degli standard (almeno di quelli minimi previsti dal DI 1444/68). Non solo; dal momento che il provvedimento in questione riconduce il dimensionamento e il controllo delle dotazioni urbanistiche alle disposizioni contenute nella legge regionale (dunque ad una “interpretazione” non più condizionata del DI 1444!) e nel piano comunale (di cui non si richiede l’assoggettamento a VAS), si manifesta il pericolo di ulteriori conflitti di competenze tra differenti livelli di governo oltre a quelli già segnalati, ma soprattutto si evidenzia il rischio di un drastico indebolimento delle garanzie finora vigenti nella offerta di servizi al cittadino”.

Necessario un radicale cambio di rotta

“A fronte di queste preoccupanti criticità l’INU ritiene che sia ormai necessario un radicale cambio di rotta, intraprendendo un percorso riformatore che risulti coerente con i contenuti della proposta di una nuova legge nazionale di principi del governo del territorio che abbiamo presentato al Senato il 16 luglio 2024. Le garanzie già presenti nel nostro ordinamento per il bilanciamento e la composizione degli interessi pubblici e privati che oggi vengono messe in discussione non devono essere accantonate, ma al contrario possono essere innovate e reinterpretate all’interno di un nuovo quadro organico, e appunto di una nuova riforma urbanistica.

Se ormai si conviene sempre più spesso che nelle nuove trasformazioni urbane la priorità debba essere assegnata all’intervento sulla città esistente attraverso iniziative integrate di rigenerazione urbana, è allora evidente che la scelta operata dal ddl 1987 di privilegiare provvedimenti settoriali e iniziative di corto respiro, riconducendole impropriamente all’edilizia (e non al governo del territorio e alla pianificazione urbanistica), tenda inevitabilmente ad aggravare in modo assai rilevante la confusione normativa già presente nel nostro ordinamento. E con la conseguenza di ostacolare al tempo stesso l’individuazione di soluzioni efficaci per obiettivi ambiziosi, ma che si rivelano sempre più urgenti, quali ad esempio la convergenza tra il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione della città esistente, o ancora la ricerca di strumenti atti a promuovere contestualmente la transizione delle dotazioni urbanistiche in Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) del governo del territorio, che si rivelerebbero decisivi nel ridurre le gravi asimmetrie tra la richiesta di una crescente autonomia da parte dei poteri locali e una tutela sostanziale dei diritti fondamentali dei cittadini e del territorio”.

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