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Frana su autostrada Palermo-Catania, D'Angelis: “Sciatteria, disorganizzazione, abusi. Eppure i soldi ci sono”

Un accusa molto forte da parte del coordinatore di italiasicura. I geologi suggeriscono di introdurre l'obbligo di un monitoraggio geologico periodico

lunedì 13 aprile 2015 - Redazione Build News

dangelis_erasmo

“La verità va detta tutta: quel versante franato che ha distrutto il viadotto dell'autostrada Palermo-Catania poteva essere messo in sicurezza, e Anas e Regione potevano e dovevano intervenire già dieci anni fa e nessuno lo ha fatto”.

È durissimo il commento di Erasmo D’Angelis, coordinatore della Struttura di missione di Palazzo Chigi, #italiasicura contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, sulla vicenda del cedimento del pilone della autostrada siciliana A19 a causa di una frana che rallenterà per anni la circolazione su quel tratto dell'Isola.

“Nemmeno a noi è mai arrivata la segnalazione del rischio. Ma quella frana non è un indizio, è la prova non solo della mancanza di monitoraggi, cure e manutenzioni ordinarie del nostro territorio più fragile nelle Regioni più a rischio, ma anche di sciatteria, disorganizzazione, disattenzioni, abusi, scarsissimo interesse anche nel dibattito pubblico al gravissimo problema del dissesto idrogeologico”, sottolinea D’Angelis.

“C'è solo da vergognarsi per il mancato utilizzo di fondi per mettere in sicurezza frane e città. Altro che tesoretto, noi siamo arrivati a scovare il doppio anzi il triplo della cifra scoprendo e recuperando risorse inviate dallo Stato e non spese, soprattutto al Sud, per contrastare il dissesto e costruire depuratori: sono oltre 5 miliardi negli ultimi 15 anni, che facciamo spendere solo oggi. Questa è l'Italia da cancellare. Ha ragione il ministro Delrio”, aggiunge D’angelis, “ora basta con l'inseguire grandi opere e piangere lacrime di coccodrillo dopo grandi emergenze, ci si rimbocca le maniche per aprire e riaprire decine di migliaia di cantieri per piccole e medie opere mai realizzate e sempre rinviate, che sono quelle utili, che evitano le emergenze che producono vittime e danni economici immensi, costi di reputazione e di immagine”.

PIANO FRANE NAZIONALE. La verità scomoda, evidenzia il coordinatore di Italiasicura, “sono le 486.000 frane italiane delle 500.000 frane europee. Pendono su oltre 20.700 kmq, il 6,9% del nostro territorio nazionale anche densamente abitati. E ben 56.000 frane hanno già prodotto devastazioni negli ultimi 40 anni. Basta andare in Abruzzo o in Calabria, in Sicilia o in altre Regioni per farsi un'idea di cosa serve all'Italia. Finalmente occuparsi di questo disastro oggi è diventata la più importante e urgente opera pubblica nazionale: o diventa così per tutti oppure si crolla e si allaga. Siamo in stretto contatto con le Regioni e i sindaci e stiamo predisponendo con la Ragioneria dello Stato e i Ministeri ulteriori finanziamenti per un Piano frane nazionale, che affianchi il Piano anti-alluvioni per le città già finanziato con investimenti per 1.2 miliardi e che martedì prenderà il via con l'inaugurazione del Presidente del Consiglio dei cantieri per ridurre il rischio a Genova. Erano attesi da oltre 30 anni”, ricorda Erasmo D’Angelis, “e nel frattempo sono morti nelle alluvioni 62 genovesi”.

I GEOLOGI: INSERIRE IL MONITORAGGIO GEOLOGICO POST OPERAM. “Ciò che è accaduto in queste ore in Sicilia, sull'autostrada Palermo – Catania è l’ulteriore conferma di quanto sia fondamentale la conoscenza geologica del territorio, sia nella fase propedeutica alla progettazione, sia in quella del monitoraggio successivo all'esecuzione dell'opera, purtroppo assente anche sotto il profilo normativo. In questo caso si tratta di un’opera costruita molti decenni fa, in un periodo in cui l'approccio interdisciplinare era sconosciuto ed in cui la conoscenza geologica era marginale, se non probabilmente mancante”.

Lo ha sottolineato Gian Vito Graziano, geologo siciliano e Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi.

“Ma è pur vero che la frana, peraltro di grandissima estensione, era conosciuta - ha proseguito Graziano - e la situazione doveva dunque essere monitorata. Ma in Italia si monitorano le parti strutturali dei viadotti e delle gallerie, i cavi delle funivie, le sezioni impiantistiche, ma non si controllano mai le interazioni tra le opere e i terreni. Questo perché continua ad imperare una visione anacronistica di un territorio statico, laddove è invece scientificamente dimostrato che esso è dinamico, si evolve e reagisce all'inserimento di un'opera. Se il pilone del viadotto autostradale è collassato, è evidente che le condizioni dei terreni al contorno si sono progressivamente modificate, sino a superare la soglia di resistenza della struttura. E' ora che i massimi organi tecnici dello Stato comprendano che la normativa sulle costruzioni deve essere modificata in questa direzione e che è necessario, anzi urgente, prevedere l'obbligo di un monitoraggio geologico periodico dopo la conclusione della costruzione dell'opera. Altrimenti i nodi continueranno a venire al pettine e noi seguiteremo a farci trovare impreparati”.

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