In più occasioni, la Corte di cassazione ha rilevato che “l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi aventi natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, di costui alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo in loco e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale esistente fra i coniugi”.
Così la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 47310/2015.
RAPPORTI TRA NORMATIVA STATALE E DISPOSIZIONE DI RANGO INFERIORE. Secondo la Corte suprema “un'attività che sia prevista come illegittima da una disposizione legislativa statale non può certamente degradare in attività consentita per effetto di una disposizione avente rango normativo inferiore alla precedente; e che la attività di ristrutturazione edilizia con variazione di destinazione d'uso che comporti il cambio di categoria edilizia derivante dalla realizzazione di nuove opere edili necessiti di permesso a costruire è principio derivante dalla previsione legislativa contenuta nell'art.10, comma 1, lettera c), del dPR n. 380 del 2001”.