“In caso di discordanza tra quanto descritto nella relazione tecnica allegata alla domanda di concessione edilizia e quanto rappresentato graficamente nelle tavole progettuali occorre dare prevalenza alla prima, sulla base dello stesso principio valevole in tema di discordanza tra parte normativa e parte grafica dei piani urbanistici, in quanto la valenza del dato letterale, ove il medesimo sia formulato in modo chiaro, prevale su quella del segno grafico”.
Lo ha ricordato il Consiglio di Stato (Sezione Seconda) nella sentenza n. 5416/2023 (in allegato) pubblicata il 1 giugno.
Il pronunciamento di Palazzo Spada ha per oggetto l'impugnazione di una sentenza con cui il T.A.R. per la Toscana ha respinto il ricorso proposto dall’appellante avverso l’ordinanza comunale di demolizione e riduzione allo stato autorizzato di un muro di contenimento, avente andamento curvilineo, realizzato nella sua proprietà con un’altezza superiore a quella prevista dal titolo edilizio.
Variazioni essenziali rispetto al progetto approvato
“Costituiscono variazioni essenziali rispetto al progetto approvato, parificate, salvo che per gli effetti penali, al caso della mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, anche le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato e il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentite”, precisa il Consiglio di Stato.
Il concetto di parziale difformità
Il concetto di parziale difformità “presuppone dunque che le modificazioni apportate all’intervento costruttivo assentito si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera, mentre si è in presenza di difformità totale o di variazioni essenziali, sanzionabili con la misura della demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione”.
Il caso di specie
Nel caso di specie, la realizzazione di un muro di contenimento che, anziché essere contenuto entro il limite assentito di un’altezza compresa tra 1,00 e 1,20 m., raggiunge i 2,35 m. (cioè un’altezza pressoché doppia) “è certamente ascrivibile al novero delle modifiche sostanziali dell’opera, vieppiù se si considera che anche una semplice sopraelevazione autonoma di un muro di contenimento richiede il permesso di costruire in quanto si presenti idonea ad alterare stabilmente lo stato dei luoghi”, osserva Palazzo Spada.
Illecito edilizio e provvedimento demolitorio
In presenza di un illecito edilizio “il provvedimento demolitorio assume, per pacifica giurisprudenza, natura vincolata e doverosa anche a distanza di lungo tempo dalla commissione dell’abuso e la sua adozione non richiede specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata”.
Sanzione demolitoria o pecuniaria?
“Per consolidato indirizzo giurisprudenziale la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata nella fase esecutiva del procedimento, successiva e autonoma rispetto all’ordine di demolizione, nella quale la parte può dedurre in ordine alla situazione di pericolo che costituisce presupposto per la cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione (per tutti, Cons. Stato., sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 1)”, si legge nella sentenza.
Mancata o erronea individuazione dell’area di sedime da acquisire
La mancata o l’erronea individuazione dell’area di sedime da acquisire di diritto gratuitamente al patrimonio disponibile comunale “non costituisce ragione d’illegittimità dell’ordine di demolizione, in quanto l’acquisizione gratuita delle opere e della relativa area di sedime costituisce una conseguenza ex lege della inottemperanza all’ordine impartito e, quindi, tale individuazione ben può essere compiuta anche a valle del medesimo, con atto successivo e separato avente natura meramente dichiarativa e ricognitiva”, conclude il Consiglio di Stato.
Pertanto, “l’appello dev’essere respinto e la sentenza di primo grado confermata sia pur con la parziale diversa motivazione indicata”.