Anche il direttore dei lavori può essere chiamato a rispondere dell’abuso edilizio: lo ribadisce il Consiglio di Stato nella sentenza n. 7227/2023 pubblicata il 24 luglio.
Con atto n. 4441 del 31 ottobre 2017, Roma Capitale ordinava all’appellante A. S., in qualità di direttore dei lavori, la demolizione di opere di ristrutturazione abusive (volume tecnico per serra captante e ampliamento di una finestra) realizzate su un immobile ricadente in zona A del PRG, con contestuale irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria di € 15.000,00, ai sensi dell’art. 33, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 16, comma 5, della L.R. n. 15 del 2008; contestualmente, veniva del pari sanzionato V. M., in qualità di proprietario responsabile.
L’appellante ha impugnato tale provvedimento avanti il TAR per il Lazio, deducendo la violazione degli artt. 3, 10, 21 nonies della Legge n. 241 del 1990, nonché per eccesso di potere sotto il profilo dell’erronea presupposizione, della carenza di istruttoria, dello sviamento.
Il ricorrente, in particolare, rilevava che il responsabile dell’abuso era il proprietario del fabbricato; che aveva presentato la c.i.l.a. del 31 ottobre 2013 per il ripristino della finestra; che la notifica dell’atto impugnato era avvenuta tramite pec, sistema che non garantisce la piena prova della sua effettiva consegna; che l’atto in ultimo era sprovvisto di firma elettronica.
Il TAR adito ha respinto il ricorso, e l’originario ricorrente ha impugnato tale pronuncia dinanzi al Consiglio di Stato, che ha respinto l'appello.
Abusi edilizi, le responsabilità del direttore dei lavori
“In generale, deve ricordarsi che anche il direttore dei lavori può essere chiamato a rispondere dell’abuso edilizio”, precisa Palazzo Spada, aggiungendo che la sanzione pecuniaria è stata emanata in applicazione della legge 11 agosto 2008, n. 15 della Regione Lazio (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia), la quale prevede, all’art. 12, comma 1, che la responsabilità per la commissione di abusi edilizi e l’obbligo per il pagamento delle connesse sanzioni pecuniarie grava anche sul direttore dei lavori (così come anche stabilito dall’art. 29, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001) e precisa poi, nell’art. 15, comma 3, che la sanzione pecuniaria de qua è irrogata in quanto sia accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione, come avvenuto nel caso di specie. In particolare, il Consiglio di Stato ha chiarito che “Il legislatore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 29 e 33 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico Edilizia)…ha configurato in capo al direttore dei lavori una posizione di garanzia per il rispetto della normativa urbanistica ed edilizia, prescrivendo, a suo carico, un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all'incarico, addebitandogli le conseguenze sanzionatorie dell'omesso controllo” (Cons. Stato, sez. VI, 5 novembre 2018, n. 6230).
Mancata notifica dell’ingiunzione di demolizione
Per quanto riguarda l’ingiunzione di demolizione, la mancata notifica “non concreta un vizio di legittimità di quel provvedimento amministrativo, ma – se del caso – la sua inefficacia nei confronti del destinatario (cfr. Cons. Stato, sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8632). Deve per altro escludersi anche quest’ultima evenienza dal momento che l’appellante ne è venuto pacificamente a conoscenza, avendola anche tempestivamente impugnata”, osserva il Consiglio di Stato.
Secondo Palazzo Spada, non vi è motivo per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui “L’omessa o irregolare notificazione dell’ordine di demolizione non incide sulla legittimità dell’atto, bensì sulla sua efficacia, tenuto conto che la mancata piena conoscenza della determinazione amministrativa, pur impedendo la decorrenza dei termini (sostanziali) di ottemperanza all’ordine demolitorio o (processuali) di impugnazione giurisdizionale, non determina l’illegittimità della determinazione provvedimentale assunta, non incidendo sulla completezza dei suoi elementi costitutivi” (Cons. Stato, sez. VI, 11 marzo 2020, n. 1745).