“Si può ritenere che l’art. 7, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 133 del 2014 non estrometta completamente le regioni dalla decisione di individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico destinati al finanziamento”.
Così la Corte costituzionale nella sentenza n. 83/2016 depositata ieri con la quale viene bocciato il ricorso presentato dalla Regione Veneto contro i commi 2 e 3 dell'articolo 7 del decreto Sblocca Italia (decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164).
LE NORME IMPUGNATE. L’art. 7 dello Sblocca Italia contiene, tra le altre, “norme di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico”.
Il comma 2 dell’art. 7 dispone che: «A partire dalla programmazione 2015 le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla Regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce altresì la quota di cofinanziamento regionale. Gli interventi sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Le risorse sono prioritariamente destinate agli interventi integrati, finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità, ovvero che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. In particolare, gli interventi sul reticolo idrografico non devono alterare ulteriormente l’equilibrio sedimentario dei corsi d’acqua, bensì tendere ovunque possibile a ripristinarlo, sulla base di adeguati bilanci del trasporto solido a scala spaziale e temporale adeguata. A questo tipo di interventi integrati, in grado di garantire contestualmente la riduzione del rischio idrogeologico e il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, in ciascun accordo di programma deve essere destinata una percentuale minima del 20 per cento delle risorse. Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità. L’attuazione degli interventi è assicurata dal Presidente della Regione in qualità di Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all’articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116».
La Consulta osserva che “Il criterio sistematico di interpretazione e, in particolare, il dovere di interpretazione conforme a Costituzione conducono a leggere la disposizione in esame alla luce della disciplina generale della materia e del principio costituzionale di leale collaborazione. Questa Corte ha già dichiarato infondate questioni di costituzionalità sollevate per violazione del principio di leale collaborazione, ritenendo implicitamente già previsti i raccordi invocati dalle regioni ricorrenti, sia pure non menzionati dalle norme impugnate: ciò è avvenuto sia nella materia del finanziamento degli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico (sentenza n. 232 del 2009, con riferimento all’approvazione della ripartizione degli stanziamenti di cui all’art. 72, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006), sia in altre materie (sentenza n. 19 del 2015, riguardante il patto di stabilità, sentenza n. 278 del 2010, riguardante le centrali nucleari, sentenza n. 235 del 2010, riguardante l’utilizzo del personale scolastico, sentenza n. 451 del 2006, riguardante il Fondo per l’edilizia a canone speciale, sentenza n. 227 del 2004, riguardante il potere sostitutivo)”.
Per la Corte costituzionale è infondata anche la seconda questione sollevata con riferimento allo stesso art. 7, comma 2. “Le disposizioni contenute nel quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 7, comma 2, sono censurate per la loro natura dettagliata, incompatibile, secondo la ricorrente, con le competenze regionali in materia di «governo del territorio». Si tratta, tuttavia, di previsioni che riguardano specificamente gli «interventi integrati», con riferimento ai quali l’interesse ambientale assume peso prevalente rispetto alla materia «governo del territorio»”.
L’art. 7, comma 3 dello Sblocca Italia dispone che il «Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), previo parere favorevole dell’Autorità di distretto territorialmente competente, provvede alla revoca, anche parziale, delle risorse assegnate alle Regioni e agli altri enti con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati ai sensi (…) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla data del 30 settembre 2014 non è stato pubblicato il bando di gara o non è stato disposto l’affidamento dei lavori, nonché per gli interventi che risultano difformi dalle finalità suddette». Inoltre, l’art. 7, comma 3, prevede che «ISPRA assicura l’espletamento degli accertamenti ed i sopralluoghi necessari all’istruttoria entro il 30 novembre 2014» e che le «risorse rivenienti dalle suddette revoche confluiscono in un apposito fondo, istituito presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sono riassegnate per la medesima finalità di mitigazione del rischio idrogeologico secondo i criteri e le modalità di finanziamento degli interventi definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 11 dell’articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91».
La questione di legittimità costituzionale proposta dalla Regione Veneto in merito al suddetto comma 3 art. 7 è parimenti infondata: “Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, questa Corte ha già chiarito che, in caso di revoca di risorse assegnate alle regioni e da tempo inutilizzate, le esigenze di leale collaborazione possono essere considerate recessive”, osserva la Consulta.
Per quanto riguarda il carattere dettagliato delle disposizioni relative alla revoca delle risorse e all’istruttoria dell’ISPRA, la questione “risulta infondata perché – anche a prescindere dalla considerazione che, in caso di concorrenza di competenze, l’intervento del legislatore statale è ammissibile (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2016, n. 140 del 2015, n. 231 del 2005) e che, nel caso di specie, la competenza concorrente in materia di «governo del territorio» non si può certo considerare prevalente su quella esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» – l’art. 7, comma 3, primo e secondo periodo, si limita a prevedere le funzioni statali e a dettare le norme essenziali al loro svolgimento. Dunque, non essendo contestata dalla Regione la spettanza al livello statale accentrato delle funzioni in questione, non si può negare allo Stato la possibilità di completare la scelta attributiva del potere con la cornice normativa indispensabile alla sua operatività”.