Non accennano a placarsi le tensioni sulle materie prime, sui metalli e in particolare sull’alluminio, che ha raggiunto prezzi record che non si vedevano dall’aprile 2018, ovvero i 2.650 dollari per tonnellata. Come sappiamo, la causa principale dell’aumento delle materie prime è stata dovuta alla forte ripresa cinese dopo il lockdown. Ma se durante l’estate, l’aumento dei contagi da variante delta in Asia ha un po’ rallentato la domanda di metalli, l’alluminio ha rappresentato un’eccezione.
Le imprese europee e americane restano preoccupate non solo per i prezzi alle stelle ma anche per la difficoltà di approvvigionamento. Da un lato il governo cinese si è impegnato a immettere sul mercato parte delle sue riserve strategiche, dall’altro però ha messo in atto una serie di iniziative volte a ridurre il consumo di energia e quindi le emissioni di CO2, con il risultato che molte fonderie di alluminio negli ultimi tre mesi hanno tagliato la produzione. Ma la domanda interna non è diminuita sostanzialmente, e questo ha fatto sì che la Cina, una volta grande esportatrice di alluminio, nei primi sette mesi dell’anno abbia aumentato del 47% le importazioni, per un totale di 750 tonnellate.
E l’aumento del prezzo dell’alluminio preoccuperebbe gli stessi cinesi della Cnia (China Nonferrous Metals Industry Association) che hanno riunito d’urgenza i maggiori produttori di alluminio ottenendo l’impegno a “continuare ad assicurare l’offerta e a stabilizzare il mercato”. Vedremo solo prossimamente se le quotazioni di alluminio sul London Metal Exchange rifletteranno queste intenzioni.
Franco Metta