di Franco Metta
Perché il tempo stringe e perché è importante la collaborazione internazionale nella lotta ai cambiamenti climatici? Come sarà la transizione ecologica italiana? Il ministro Roberto Cingolani ha affrontato questi temi nel corso del workshop organizzato dall’ambasciata del Regno Unito in Italia. Riportiamo di seguito un estratto del suo intervento.
“Il clima e in generale l’ambiente in cui viviamo non è più solo una dimensione verticale, dissociata dal resto, ma diventa ormai un fenomeno assolutamente trasversale, orizzontale che riguarda tutte le attività dell’essere umano, quelle sociali, quelle economiche, la riduzione di disuguaglianze, e ovviamente preservare la casa in cui viviamo, il nostro pianeta che non è stato trattato molto bene.
Il percorso verso una sostenibilità globale è un percorso di compromesso. Tra l’altro soprattutto in quest’ultima decade è risultato chiaro che non riusciremo a fare global restoring, riusciremo solo a mitigare il danno. La termodinamica purtroppo detta delle leggi naturali molto chiare. Già adesso se riuscissimo magicamente a ridurre la temperatura media di 2 gradi comunque il riscaldamento degli oceani non terminerebbe il giorno dopo perché la termodinamica indica che il raffreddamento è una cosa lenta. Come quando si spegne il riscaldamento, il termosifone a casa continua a cedere calore. Il senso dell’urgenza è dettato dalla termodinamica.
Se avremo successo in questa operazione nei prossimi 10 anni forse riusciremo a controllare l’aumento della temperatura media sotto i 2 gradi, possibilmente 1,5 gradi, e forse nel giro di circa un secolo avremo un raffreddamento importante delle masse d’acqua del pianeta. Il che vuol dire che comunque per alcuni decenni noi continueremo ad avere quello che stiamo vedendo oggi, cioè degli eventi climatici avversi e molto forti anche in terre normalmente temperate. Questo crea danni all’economia e alle persone, ci sono catastrofi ormai di natura climatica connesse al riscaldamento globale che sono costosissime in termini di vite umane e sociali.
Nessuna generazione delle nostre società sino a ora è stata messa così in pericolo, sotto scacco, per sfide di questo genere. È qualcosa di veramente importante, non stiamo parlando di futuro remoto, stiamo parlando dei nostri bambini, quelli che ci sono ora. La transizione ecologica non è una parola vuota, vuol dire andare da A a B sapendo che il punto di arrivo deve essere quello che ci consentirà di mitigare queste situazioni oggettivamente drammatiche e nelle quali ci troviamo oggi e che dovrà garantire anche più giustizia e minore disuguaglianza fra i popoli. Stiamo per lanciare una imponente azione collegata al recovery fund: sono tra i 70-80 miliardi di euro, cifre importanti per il prossimo quinquennio.
La nostra transizione ecologica si articolerà su massicce operazioni relative al ciclo dell’acqua, al suolo, all’autosufficienza energetica dell’agricoltura, nel settore energy dovremo per forza seguire la roadmap europea, installare decine e decine di Gigawatt di potenza di natura rinnovabile, prevalentemente in Italia eolico e fotovoltaico, investiremo molto su tecnologie connesse all’idrogeno, in tutte le sue forme, in maniera progressiva, nessuno pensa che fra un mese avremo le automobili a idrogeno per la strada.
Dobbiamo porre le basi per una società che evolva progressivamente verso una decarbonizzazione dell’energia secondaria e primaria. Un massiccio intervento di elettrificazione connesso alla mobilità e un altrettanto massiccio intervento di forestazione e di protezione dell’oro blu, dell’acqua, i nostri bacini idrici, i nostri acquedotti, la creazione di nuovi bacini, la manutenzione dei fiumi di cui la nostra terra è ricca, e grande intervento sul risparmio energetico sia nelle case private che negli edifici pubblici.
Ci attende una agenda complessa ma non siamo soli. Con il Regno Unito quest’anno coordiniamo la Cop26 e siamo anche alla presidenza di turno del G20. Ho parlato di recente con John Kerry (dal 21 gennaio 2021 inviato speciale del Presidente Usa per il clima). Dobbiamo lanciare un messaggio internazionale. Noi europei in senso geografico siamo, un continente di popoli vicini e produciamo il 10% della CO2 globale. Stiamo facendo uno sforzo enorme per cercare di ridurre le emissioni, di decarbonizzarci, ma ricordiamoci che se avremo successo sarà sempre il 10% a livello planetario. Non basta quindi farlo il prima possibile ma occorre anche condividere lo sforzo con tutti gli altri altrimenti il 10% potrebbe essere facilmente cancellato da qualcuno che è meno attento a questi temi. Il problema sarebbe comunque di tutti.
Noi come popolazioni attente e gli Usa, che sono ritornati nella corsa alla decarbonizzazione, abbiamo anche il dovere di trasmettere un messaggio a tutto il pianeta. Dobbiamo sicuramente aiutare i Paesi meno favoriti ma nello stesso tempo cercare di fare moral suasion di natura ambientale. Tutti devono comprendere che è un problema comune.
La termodinamica ci dice se io produco CO2 in un punto del pianeta gli effetti si vedono anche in altri posti, non solo là dove è prodotta. È un discorso semplice che tutti devono accettare perché serve uno sforzo comune. Quindi utilizziamo G20, Cop26 e queste collaborazioni internazionali per rendere questo messaggio chiaro a tutti e cercare di farlo diventare pervasivo soprattutto alle nuove generazioni”.