“Negli ultimi tempi vi è stato un infittirsi di interventi sul settore dei contratti pubblici e sul ruolo in esso giocato dall’ANAC, tutti caratterizzati, duole dirlo, da un elevato tasso di approssimazione.
Ricordiamo alcuni passaggi essenziali: esiste dal 1994 un’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, istituita per dare al settore un chiaro punto di riferimento, un presidio di elevata capacità tecnica (non solo giuridica), che integrasse positivamente il ruolo della Corte dei conti (di controllo sulla spesa pubblica). Nel 2014 il legislatore, sulla base di un giudizio di scarsa efficacia dell’allora AVCP, decise di unificarla con l’ANAC, attribuendo alla nuova autorità, nata per fusione, non per accorpamento, tutti i compiti della precedente. Questa ha esercitato i medesimi poteri disciplinati dalla legge, con lo stesso apparato di uffici, con gli stessi funzionari, ma con maggiore efficacia nello svolgimento dei compiti: procedimenti amministrativi snelliti, tempi più ristretti, risposte più vicine e utili a prevenire comportamenti illegittimi. La novità che, come Consiglio dell’ANAC, possiamo rivendicare è stata la costanza e la determinazione con la quale i compiti sono stati esercitati, con piena indipendenza.
Nel campo dei contratti pubblici, la normativa è tutta volta a garantire il massimo grado di apertura e di competizione nell’aggiudicazione di appalti e concessioni, in piena adesione con le direttive comunitarie: è la concorrenza tra imprese, a livello europeo, l’interesse supremo curato dalla disciplina nel settore. Sotto questo profilo nulla è mutato. L’idea che concorrenza ed efficienza non vadano d’accordo con la prevenzione della corruzione è una pura petizione di principio, smentita dai fatti. Per verificarlo basterebbe analizzare tutte le delibere di Consiglio e gli interventi pubblici dell’Autorità in questa materia, sempre strettamente legati alle esigenze del settore.
È poi intervenuto il nuovo Codice dei contratti, fondato su presupposti largamente innovativi: riduzione della normativa primaria, soft law (nella forma di Linee guida dell’ANAC) rivolta alle amministrazioni perché operino con maggiore discrezionalità e responsabilità; attenzione al perseguimento sostanziale dell’interesse pubblico (offerta economicamente più vantaggiosa anziché prezzo più basso); maggiore controllo dell’economicità delle concessioni e degli strumenti di partenariato pubblico-privato; riqualificazione delle stazioni appaltanti (loro riduzione ed elevamento delle loro competenze tecniche); riqualificazione progressiva anche delle imprese del settore. Solo amministrazioni in grado di programmare, progettare, aggiudicare e verificare l’esecuzione in modo efficace e tempestivo, che dialogano con imprese sempre più attrezzate, sono la garanzia per un rilancio duraturo del settore (e del PIL nazionale, per una percentuale non irrisoria).
Il problema che si è posto successivamente non sta nel Codice, come autorevoli interventi di recente hanno ricordato. Non sta nei suoi limiti, pur esistenti, quali l’eccessivo dettaglio della disciplina o l’eccessiva fiducia su un apparato sanzionatorio spesso ridondante, ma nel suo sostanziale rifiuto da parte dei principali protagonisti: da quattro anni si registra una sorda resistenza delle stesse stazioni appaltanti al processo di riqualificazione; le linee guida non sono state percepite per quello che la legge vuole, cioè delle raccomandazioni, ma come ulteriori vincoli; le imprese hanno chiesto interventi contraddittori, da un lato maggiori vincoli e dall’altro più deroghe ai vincoli così posti.
Ne è derivata una babele di posizioni e di interventi normativi, dalla sospensione di alcuni capisaldi del Codice del 2016 alla previsione di un regolamento esecutivo sostitutivo delle linee guida ANAC, destinato a produrre ulteriore complicazione normativa. Da proposte poco praticabili come la sottrazione di compiti di vigilanza all’ANAC, per attribuirli alla Corte dei Conti (una soluzione che complicherebbe il quadro anziché semplificarlo: non si comprende come andrebbero ripartite le competenze e quale destino dare agli uffici dell’Autorità che fanno vigilanza, mentre oggi ANAC e Corte dei Conti collaborano ampiamente e positivamente) fino al sempre più ricorrente tambureggiamento volto ad adottare soluzioni emergenziali, con commissari dotati di ampi poteri derogatori per la realizzazione delle opere (il “modello Genova” esteso se non a tutte le opere, a quelle “strategiche”). In alcune versioni più estreme si propone di sopprimere tutto: Codice, gare europee, controlli paesaggistici, certificati Antimafia, vigilanza ANAC, trasparenza sulle gare, in un settore nel quale, lo si voglia o meno, si registra la larga maggioranza dei fatti corruttivi che avvengono ogni anno in Italia, con dimostrate infiltrazioni delle organizzazioni criminali.
L’ANAC dal canto suo, in questi anni ha lavorato per rendere più efficace e meno invasivo l’intervento nel settore, concentrando la sua attenzione su tre asset principali: il precontenzioso (a fini di prevenire l’eccessivo ricorso alla giurisdizione), la vigilanza collaborativa (che affianca le amministrazioni, prevenendo azioni illegittime) e il potere di ricorso rapido, diretto, al giudice amministrativo (in caso di gravi illegittimità nelle scelte delle amministrazioni).
Nella situazione di crisi per l’emergenza sanitaria, l’ANAC è rimasta a fianco delle stazioni appaltanti e delle imprese: ha richiesto l’esonero per il 2020 dal pagamento dei contributi sulle gare e ha disposto un forte ampliamento delle attività di vigilanza collaborativa, sempre su richiesta delle amministrazioni.
Si è anche sostenuto, per suffragare gli interventi normativi prima richiamati, che si deve intervenire per superare un presunto calo del settore dei contratti, per documentare il quale ci si guarda bene dal citare anche una sola cifra. Tutti i dati statistici degli ultimi anni dimostrano il contrario. Salva, naturalmente la pesante crisi, dal febbraio-marzo 2020 in poi, dovuta all’emergenza sanitaria. Basta guardare alla Banca dati dei contratti pubblici detenuta da ANAC, un’eccellenza conoscitiva premiata in sede internazionale come best practice, e alle sintesi periodiche dell’Autorità sull’andamento dei bandi di gara.
Per concludere, un invito, che rivolgiamo a tutti coloro che hanno a cuore la legalità e la concorrenza nel settore dei contratti pubblici. Perché, invece di continuare a proporre soluzioni improbabili, non ci uniamo tutti in una comune proposta a Parlamento e Governo? Perché non traiamo occasione dalla gravissima crisi economica prodotta dall’emergenza sanitaria per realizzare un massiccio investimento pubblico teso a ricreare, con nuovo personale ad elevata competenza tecnica e con un deciso rilancio dell’utilizzazione delle tecnologie informatiche, quell’amministrazione di qualità che si è perduta negli ultimi vent’anni?
Diecimila ingegneri assegnati, con procedure rapide, ad un numero ristretto di stazioni appaltanti; presidi territorialmente distribuiti per la dotazione informatica delle amministrazioni rappresenterebbero una prima, ma ottima risposta per una ripresa effettiva e duratura del Paese.”
Francesco Merloni
Presidente f.f. dell’ANAC