di Franco Metta
Con l’ordinanza n. 13413/2021, depositata il 18 maggio 2021, la Corte di Cassazione chiarisce che il contratto di appalto si configura quando risponde a requisiti certi, tra cui eterodirezione e rischio di impresa. In capo all'appaltatore, oltre al potere organizzativo e gestionale, dev’esserci anche il rischio d'impresa, pena la diversa qualificazione del lavoro come somministrazione di manodopera.
Nella caso preso in esame, i giudici della Corte hanno osservato che l'affidamento dell'esecuzione delle opere di facchinaggio a un soggetto terzo non costituiva nient'altro che un sistema illecito per eludere le disposizioni vigenti, con una interposizione fittizia di manodopera.
I requisiti perché si possa parlare di appalto
La distinzione tra appalto genuino e somministrazione vietata di manodopera, hanno precisato gli Ermellini, si individua dalla presenza di determinati requisiti: organizzazione dei mezzi necessari, esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavori utilizzati, da parte dell'appaltatore; l'assunzione da parte dell'appaltatore del rischio di impresa.
Mancando tali requisiti si è in presenza di una somministrazione vietata di manodopera, cioè i lavoratori sono considerati alle dirette dipendenze dell'imprenditore appaltante.
A caratterizzare l'appalto non genuino, secondo i giudici, non è tanto la mancanza di una organizzazione, ma soprattutto l'eterodirezione, ovvero quando l'appaltante, non solo organizza, ma anche “dirige” i dipendenti dell'appaltatore, utilizzandoli in prima persona. All'appaltatore sono rimasti in tal caso solo i compiti di gestione amministrativa senza una reale organizzazione della prestazione.