Con la sentenza n. 160/2021 pubblicata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 6, della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata).
L’art. 8 della suddetta legge prevede, al comma 4, che «[i]l procedimento autorizzatorio semplificato si conclude con un provvedimento, adottato entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’Amministrazione procedente, che è immediatamente comunicato al richiedente», e, al comma 6, che, «[t]rascorsi sessanta giorni senza che la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali abbia adottato il provvedimento richiesto si forma il silenzio assenso».
La Corte costituzionale osserva che il silenzio assenso previsto dalla norma regionale impugnata assume “una valenza del tutto diversa rispetto a quanto disciplinato all’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017: non si tratta infatti, in questo caso, di silenzio assenso endoprocedimentale, destinato a essere seguito comunque da un provvedimento conclusivo espresso dell’amministrazione procedente, ma di un silenzio assenso provvedimentale, destinato a tenere luogo dell’autorizzazione paesaggistica richiesta, secondo lo schema generale dell’art. 20 della stessa legge n. 241 del 1990”.
Per costante giurisprudenza della Consulta, «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato» (ex plurimis, sentenze n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017).
“Per quanto riguarda segnatamente le regioni ad autonomia speciale dotate, in base al loro statuto, di competenze a loro volta esclusive nella materia, questa Corte ha affermato in molteplici occasioni che il legislatore statale «conserva il potere, “nella materia ‘tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali’, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza n. 51 del 2006) […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come ‘riforme economico-sociali’ si impongono al legislatore di queste ultime” (sentenza n. 238 del 2013)»”.
“Per ciò che qui rileva, sono state espressamente qualificate da questa Corte come norme di grande riforma economico-sociale, idonee a vincolare anche le regioni a statuto speciale, le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela, e in particolare il suo art. 146”.
“Con specifico riferimento al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”, aggiunta la Consulta, “questa Corte ha affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura diversa da quella dettata dalla legge statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, fra i quali rientra l’autorizzazione paesaggistica”.
Il ricorrente - il Presidente del Consiglio dei ministri - lamenta il contrasto fra la disposizione regionale impugnata e l’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017, il quale, richiamando espressamente gli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, riferisce la formazione tramite silenzio assenso al solo parere vincolante del soprintendente, tenendo ferma la necessità di un provvedimento espresso dell’amministrazione a conclusione del procedimento.
“Per quanto la citata norma regolamentare non costituisca, per la sua posizione nella gerarchia delle fonti, strumento normativo idoneo a veicolare le grandi riforme economico-sociali (sentenza n. 207 del 2012, in relazione al precedente regolamento di cui al d.P.R. n. 139 del 2010)”, osserva la Corte costituzionale, “essa costituisce senza dubbio espressione dei principi enunciati dalla legge, in particolare dagli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, che, come visto, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale idonee a vincolare anche la potestà legislativa regionale primaria. Ciò che viene in rilievo è, in particolare, l’esclusione del silenzio assenso per i provvedimenti in materia di tutela del paesaggio ad opera dell’art. 146 cod. beni culturali, che prevede invece, al comma 10, appositi rimedi sostitutivi nel caso di inerzia dell’amministrazione procedente. Tale esclusione si pone in linea con il principio generale stabilito all’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che vieta la formazione per silentium del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di “interessi sensibili”, come è testualmente confermato, d’altro canto, dal comma 9 dello stesso art. 146, là dove, nel prevedere che con norme regolamentari siano stabilite procedure autorizzatorie semplificate per gli interventi di lieve entità, tiene «ferme [...] le esclusioni di cui [all’articolo] 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni»”.
“Introducendo una regola contrastante con una norma fondamentale di riforma economico-sociale della legislazione statale, la Regione Siciliana ha superato i limiti della propria competenza primaria in materia di tutela del paesaggio ai sensi dell’art. 14, lettera n), dello statuto speciale. Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019”, conclude la Consulta.
In allegato la sentenza della Corte costituzionale