Il futuro delle rinnovabili è nello storage. Ma gli attuali sistemi di accumulo, oltre ad essere tutt’ora costosi, non sono sostenibili. Per ovviare a queste problematiche da anni la ricerca scientifica è impegnata nella sperimentazione di batterie in grado di sfruttare elettroliti organici al posto di quelli chimici. Fra i risultati più interessanti raggiunti finora vi è un’innovazione messa a punto dall’Università di Harvard con una batteria al rabarbaro, lowcost e biocompatibile.
Chinone, molecola organica estratta dal rabarbaro
La tecnologia sfrutta una molecola organica prodotta dalle piante al momento della fotosintesi, chiamata chinone, facilmente estraibile dal rabarbaro che, stando alle stime dei ricercatori, permetterebbe di utilizzare degli elettroliti con un costo inferiore del 10% rispetto a quello del vanadio o di altri catalizzatori attualmente impiegati.
Serbatoi esterni
Il funzionamento delle batterie al rabarbaro è diverso rispetto a quello delle batterie 'normali', come le tradizionali stilo. Nelle nuove batterie l'energia viene immagazzinata chimicamente in serbatoi riempiti da una soluzione liquida ricca di elettroliti, molecole che catturano cariche elettriche. La grande potenzialità di una batteria al rabarbaro è quella di aumentare lo storage aumentando l’ampiezza dei serbatoi esterni.
Licenza europea a una società italiana
La sperimentazione del sistema di accumulo è in atto già dal 2014 e nel 2015 l’Università di Harvard ha affidato la licenza esclusiva per la costruzione della batteria in Europa ad una società italiana, la Green Energy Storage, un’azienda con sede a Roma, che punta a commercializzare i dispositivi entro la fine del 2017.
Mercato domestico
Dapprima il mercato di riferimento sarà quello domestico.
“Le batterie al rabarbaro avranno dei costi molto ridotti, per quelle di uso domestico di appena un terzo rispetto a quelle attualmente sul mercato- ha spiegato Emilio Sassone Corsi, consigliere di Green Energy Storage- e il passo successivo sarà quelli di sviluppare batteri ancora più grandi per necessità 'industriali'.”