Le famiglie italiane sono sempre più orientate a realizzare investimenti per la riqualificazione e l’efficientamento energetico delle proprie abitazioni ma la propensione agli interventi è strettamente connessa alla dimensione e alla stabilità degli incentivi. È quanto emerge da una ricerca realizzata da CNA e Nomisma nell’ambito di un documento di analisi e proposte sul sistema dei bonus casa, presentata il 4 novembre a Roma davanti alla stampa.
I cosiddetti bonus minori (ristrutturazioni 50% e ecobonus 65%) hanno continuato ad essere molto attrattivi anche durante la fase del 110% generando risultati importanti in termini economici e per il raggiungimento degli obiettivi ambientali. Tra l’altro questi bonus hanno garantito l’assoluta sostenibilità per i conti pubblici. Tra il 2011 e il 2019 il volume delle detrazioni ha rispettato le previsioni di spesa con un impatto sostanzialmente neutro per la finanza pubblica.
Con il sistema di incentivi in vigore 10 milioni di famiglie dichiarano che nel prossimo triennio realizzeranno un intervento ma riducendo la dimensione delle aliquote oltre 3,5 milioni di famiglie rinuncerebbero. La manovra varata dal governo e che inizia ora l’iter parlamentare introduce una serie di restrizioni, in particolare la riduzione dell’ecobonus dal 65% al 50%, limita la platea dei beneficiari a seguito della previsione di vincolare l’intervento alla sola abitazione principale e con tetti alle detrazioni in base al reddito e alla composizione familiare.
Con i tagli si perdono 97 miliardi di investimenti
Una contrazione di 3,5 milioni di famiglie significa non attivare investimenti per un valore di 97,3 miliardi con effetti molto negativi per l’economia e l’ambiente. La domanda persa equivale a un mancato valore aggiunto di 119,7 miliardi di euro, mancata attivazione di oltre 2 milioni di posti di lavoro. Notevole anche il valore ambientale che andrebbe perduto: 16mila GW/h l’anno di energia non risparmiata, pari a 461 euro l’anno in media a famiglia. Inoltre 3,7 milioni di tonnellate di CO2 l’anno che equivale a piantare 205 milioni i alberi.
Nell’incontro con la stampa i presidenti di CNA Costruzioni, Enzo Ponzio, CNA Installazione impianti, Paolo Pagliarani, CNA Serramentisti e infissi, Mauro Sellari, hanno sottolineato le preoccupazioni per le ricadute negative del depotenziamento dei bonus casa. Le richieste delle categorie indicano l’esigenza di mantenere per almeno un triennio l’assetto dei bonus attuale tra il 50% per le ristrutturazioni e il 65% per l’efficientamento energetico. Anche il sismabonus dovrebbe mantenere la dimensione delle agevolazioni attualmente in vigore. Inoltre non introdurre alcun tetto alle detrazioni in funzione del reddito e del nucleo familiare e confermare le attuali aliquote di detrazione per le abitazioni principali e i condomini.
Infine i tre dirigenti hanno rinnovato la richiesta della CNA di aprire in tempi rapidi un tavolo di confronto con il governo per definire una strategia coerente con le prospettive di recepimento della direttiva casa, e realizzare un programma di medio e lungo periodo per dare stabilità al mercato e certezze sui conti pubblici.
Confedilizia: "Preoccupa il taglio dei bonus edilizi"
La Confedilizia è stata ascoltata in audizione, in merito alla manovra varata dal Governo, dalle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato.
In primo luogo, la Confederazione della proprietà edilizia – rappresentata dal presidente, Giorgio Spaziani Testa – ha espresso forte preoccupazione per il drastico taglio degli incentivi per interventi edilizi contenuto nel disegno di legge di bilancio, reso più gravoso, e altresì complicato, dall’intreccio con il tetto reddituale a tutte le detrazioni, che renderà anche impossibile un’adeguata programmazione dei lavori. Rispetto a un sistema, precedente al superbonus, che prevedeva detrazioni del 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione e fino all’85 per cento per quelli di efficientamento energetico e di miglioramento sismico, la prospettiva è di una riduzione di tali detrazioni, per tutti gli interventi, al 30 per cento per la generalità degli immobili e al 36 per cento per le case in cui si abbia la residenza (in quest’ultimo caso, quindi, per lavori necessariamente limitati); percentuali rispettivamente elevate al 36 e al 50 per cento per il solo anno 2025.
“Il quadro che emerge – ha rilevato Spaziani Testa – è quello di un marcato ridimensionamento di un sistema di incentivi, in atto da più di un quarto di secolo, che ha visto negli anni il sostegno trasversale di tutte le forze politiche in risposta ad esigenze di interesse generale: contrasto al sommerso, sicurezza, tutela dell’ambiente ecc. Il diritto alle detrazioni – ha aggiunto – non esiste, così come non esiste il diritto a un’edilizia assistita, ma occorre essere consapevoli che l’effetto di questa manovra sarà (oltre alla crescita del sommerso, con evidenti rischi per la sicurezza sul lavoro) una significativa riduzione degli interventi, specie in condominio, e, di conseguenza, un diffuso rischio di degrado del patrimonio immobiliare, considerate anche la situazione demografica dell’Italia e le diffuse difficoltà reddituali. Tutto ciò, evidentemente, rende impensabile l’imposizione di qualsiasi obbligo di intervento, come quelli che potrebbero derivare dal recepimento della direttiva europea ‘case green’”.
Nel corso dell’audizione, il presidente Spaziani Testa si è soffermato altresì sui temi dell’affitto, da un lato apprezzando l’intento del Governo di dare avvio a un piano nazionale per l’edilizia residenziale pubblica e sociale (denominato all’articolo 71 del disegno di legge “Piano Casa Italia”) e, dall’altro, invocando misure per rilanciare l’affitto. “In una fase in cui ogni giorno viene rilevata la difficoltà di accesso all’abitazione – ha detto – riterremmo opportuno affiancare al rifinanziamento del Fondo di garanzia per l’acquisto della prima casa una misura di detassazione che incentivi almeno le locazioni a canone concordato: dimezzare l’Imu per gli immobili utilizzati per questi affitti calmierati, ad esempio, avrebbe un onere inferiore a quello previsto per il 2025 per il Fondo di garanzia (circa 70 milioni di euro contro 120)”.
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