Fisco

Bonus imprese “energivore”, la risposta AdE n. 8 del 10 gennaio 2023

Per beneficiare del bonus dopo il 16 marzo 2023 è richiesta una comunicazione all'Agenzia delle entrate del quantum del credito stesso, maturato nel 2022. In nessun caso, ove non speso entro il 30 giugno 2023, esso dà luogo a rimborso

mercoledì 11 gennaio 2023 - Redazione Build News

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Con la risposta n. 8 del 10 gennaio 2023 (in allegato), l’Agenzia delle entrate ha ribadito che il credito d’imposta a favore delle imprese a forte consumo di elettricità è utilizzabile solo in compensazione e non sconta i limiti quantitativi delle ordinarie compensazioni. Per beneficiare del bonus dopo il 16 marzo 2023 è richiesta una comunicazione all'Agenzia delle entrate del quantum del credito stesso, maturato nel 2022. Infine, in nessun caso, ove non speso entro il 30 giugno 2023, esso dà luogo a rimborso.

La società istante, in qualità di consolidante, aderisce al regime di tassazione del consolidato fiscale nazionale con altre società, una delle quali sta maturando, sul terzo trimestre dell'esercizio corrente, un determinato credito d'imposta sulla misura a favore delle imprese energivore che, nell'impossibilità della compensazione, verrà ceduto all’interpellante, seguendo le procedure di cui al provvedimento dell'Agenzia delle entrate del 30 giugno 2022. La società, nella prospettiva di non utilizzare per la compensazione un certo credito, si chiede se sia possibile pagare su base previsionale le maggiori imposte Ires previste, atteso che la liquidazione del modello dichiarativo consolidato per il 2021 non evidenzia alcun acconto dovuto, per il 2022, su base storica e il previsionale per il periodo di imposta in corso evidenzia, invece, una certa imposta dovuta, che potrebbe essere versata anticipatamente, tramite compensazione, sfruttando il credito d'imposta per imprese energivore rimasto inutilizzato.

In definitiva, alla luce del dubbio se sia possibile utilizzare il versamento degli acconti su base previsionale anche laddove si presuma un aumento anziché una riduzione delle imposte dovute per l'esercizio, la società domanda se tale operazione sia lecita, come essa ritiene, oppure abusiva.

L'Agenzia premette che l’aumento dei costi in ambito energetico ha spinto il legislatore a introdurre una serie di contributi sotto forma di credito d'imposta per le imprese, tra cui quello di cui all’articolo 6 del Dl n. 115/2022, secondo il quale: “alle imprese a forte consumo di energia elettrica … i cui costi per kWh della componente energia elettrica, calcolati sulla base della media del secondo trimestre 2022 ed al netto delle imposte e degli eventuali sussidi, hanno subìto un incremento superiore al 30 per cento rispetto al medesimo periodo dell'anno 2019, anche tenuto conto di eventuali contratti di fornitura di durata stipulati dall'impresa, è riconosciuto un contributo straordinario a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti, sotto forma di credito di imposta, pari al 25 per cento delle spese sostenute per la componente energetica acquistata ed effettivamente utilizzata nel terzo trimestre 2022. Il credito di imposta è riconosciuto anche in relazione alla spesa per l'energia elettrica prodotta dalle imprese di cui al primo periodo e dalle stesse auto consumata nel terzo trimestre 2022 …”.

Tale bonus (relativo al terzo trimestre 2022), secondo il comma 6 della medesima disposizione, come variato dall'articolo 1, comma 11, lettera a) del Dl n. 144/2022, è utilizzabile “esclusivamente in compensazione … entro la data del 31 marzo 2023 ...”. Peraltro, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 3 del n. Dl 176/2022, in corso di conversione, il credito in esame è ad ora utilizzabile “entro la data del 30 giugno 2023”, fermo restando che “entro il 16 marzo 2023, i beneficiari dei crediti d'imposta richiamati ai commi 3 e 4, a pena di decadenza dal diritto alla fruizione del credito non ancora fruito, inviano all'Agenzia delle entrate un'apposita comunicazione sull'importo del credito maturato nell'esercizio 2022 …”.

Ciò posto, l’Agenzia ribadisce che il tax credit in questione è utilizzabile solo in compensazione, non sconta i limiti quantitativi delle ordinarie compensazioni ex articolo 17 Dlgs n. 241/1997 e per usufruirne dopo il 16 marzo 2023 occorre inviare una comunicazione all'Agenzia delle entrate del quantum del credito stesso, maturato nel 2022. Infine, in nessun caso, ove non speso entro il 30 giugno 2023, dà luogo a rimborso, sia diretto (ossia del residuo non speso) sia indiretto (ossia del versamento d'imposta, risultato poi eccedente rispetto al dovuto, effettuato tramite utilizzo in compensazione del credito stesso).

Quindi, dato che, in via generale, il credito d'imposta in questione, relativo al terzo trimestre 2022, può essere utilizzato, con le limitazioni appena riepilogate, per il versamento di acconti e saldi d'imposta, l’Agenzia si sofferma sul metodo di determinazione di tali acconti. In particolare, come precisato in diversi documenti di prassi, il calcolo dell'acconto è effettuato sulla base dell'imposta dovuta per l'anno precedente, al netto di detrazioni, crediti d'imposta e ritenute d'acconto risultanti dalla relativa dichiarazione dei redditi (“metodo storico”).

In alternativa, coloro che, per l'anno in corso, presumono di avere un risultato economico inferiore rispetto all'anno precedente possono ricorrere al metodo “previsionale”. In tal caso, il calcolo viene effettuato sulla base dell'imposta presumibilmente dovuta per l'anno in corso, considerando, quindi, i redditi che il contribuente ipotizza di realizzare, nonché gli oneri deducibili e detraibili che dovrebbero essere sostenuti, i crediti d'imposta e le ritenute d'acconto. Questa scelta può comportare la riduzione o il non pagamento dell'acconto, ma, al contempo, espone il contribuente al rischio di effettuare i versamenti in acconto in misura inferiore rispetto a quanto realmente dovuto e l'eventuale successiva applicazione di sanzioni e interessi sulla differenza non versata (cfr circolare n. 27/E/2020).

La ratio della previsione normativa è, dunque, di favore verso il contribuente, il quale, in sede di acconto, quando abbia ragionevole certezza sull'ammontare finale dell'imposta da versare, può evitare di anticipare somme che in ultimo risulterebbero non dovute.

In questo senso, la prassi ha chiarito che “il contribuente soggetto all'Irpef deve versare il 75% dell'importo indicato al rigo 65 - senza che tale ammontare formi oggetto di alcun arrotondamento - del quadro N del Mod. 740 della dichiarazione per l'anno 1976, vale a dire l'imposta che risulta da pagare dopo aver detratto dall'imposta lorda le detrazioni, gli eventuali crediti di imposta e le ritenute d'acconto subite. Il principio, comunque, non riveste carattere di assolutezza, in quanto, in base al quarto c. del successivo art. 2, il contribuente può, sotto la propria responsabilità, commisurare l'acconto di che trattasi non al 75% del tributo relativo all'anno decorso, ma al 75% di quello che prevede di dover versare per l'anno corrente. Infatti, come si dirà più avanti, il contribuente non incorrerà in alcuna sanzione qualora l'acconto versato, pur risultando inferiore al 75% dell'imposta relativa all'anno precedente, non sia al di sotto del 75% di quella che sarà dovuta per l'anno in corso. Per contro, qualora il contribuente preveda di dover corrispondere per l'esercizio corrente, in conseguenza di un incremento del reddito imponibile, un'imposta in misura superiore a quella dovuta per l'esercizio decorso, lo stesso contribuente non è tenuto a liquidare l'acconto sulla base del maggiore tributo che sarà applicabile per l'anno di competenza, ben potendo egli attenersi al preciso obbligo posto dal citato art. 1, e liquidare quindi l'acconto sulla base del 75% dell'imposta afferente l'anno trascorso” (così già la circolare n. 96/1977, capitolo I, in riferimento all’articolo 1 della legge n. 97/1977).

Fermo restando che l'acconto, seppure frazionato in due rate, è unico – risultando, quindi, in principio escluse variazioni di metodo di computo tra una rata e l'altra, nonché sanzionabili versamenti al di sotto del minimo legislativamente previsto sulla base del raffronto con l'anno precedente ¬ va posta, secondo l’Agenzia, attenzione al fatto che, per quanto nella normalità dei casi la determinazione con il metodo previsionale risulti inferiore a quella con il metodo storico, le norme richiamate non escludono l'ipotesi contraria.

Non vi è, dunque, una preclusione legislativa al versamento dell'acconto calcolato con il metodo previsionale, laddove il relativo ammontare superi quanto sarebbe dovuto utilizzando il metodo storico. La legittimità di tale comportamento, in ipotesi di pagamento tramite compensazione avvalendosi del credito d'imposta di cui all'articolo 6 del Dl n. 115/2022, va, tuttavia, contemperata con i limiti di tale credito (relativo al terzo trimestre 2022), ricordati in precedenza, nonché con quelli legislativamente previsti in via generale per la tassazione di gruppo (cf., sul punto, ad esempio, la risposta n. 536/2022).

Alla luce di quanto sopra, in nessun caso il versamento dell'acconto, qualora eccedente rispetto a quanto effettivamente dovuto, potrà consentire il rimborso della relativa imposta o un effetto trascinamento tale per cui il credito speso per il pagamento venga utilizzato in qualsiasi modo dopo il 30 giugno 2023 (o il 16 marzo 2023 nel caso in cui il contribuente non dia correttamente luogo alla comunicazione richiesta dall'articolo 1, comma 3 Dl 176/2022).

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