Il Consiglio dei ministri n. 118 del 31 maggio 2016 ha impugnato alcune norme della Legge della Regione Campania n. 6 del 5 aprile 2016, “Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell’economia campana – Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016”.
Secondo il Governo “alcune norme riguardanti interventi di urbanistica ed edilizia contrastano con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio e di tutela e sicurezza del lavoro di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, violando altresì gli artt. 3 e 97 della Costituzione”. Il riferimento è alle modifiche al piano casa e alle disposizioni per il contrasto al lavoro irregolare nel settore edile.
Di seguito riportiamo le motivazioni dell'impugnativa.
PIANO CASA. L’articolo 8 della LR in oggetto, recante “Misure in materia di piano casa”, apporta modifiche alla L.R. 28 dicembre 2009, n. 19 “Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa”. Tale provvedimento legislativo regionale, nel corso degli anni successivi alla sua emanazione, è stato più volte modificato ad opera di diverse disposizioni, alcune delle quali vengono nel seguito richiamate.
Si evidenzia, in primo luogo, che con il predetto articolo 8, comma 1, rispettivamente, lettere b), e), f), g), si estende alla data di entrata in vigore della L.R. n. 1/2016 (ossia al giorno successivo alla pubblicazione nel BUR della stessa L.R. n. 1/2016 avvenuta il 18 gennaio 2016 – cfr. art. 16) l’applicabilità delle misure incentivanti di cui alla L.R. n. 19/2009, in particolare, riferite:
- alla disciplina degli interventi straordinari di ampliamento, in deroga agli strumenti urbanistici, di cui alla lettera g) del comma 2, dell’articolo 4 della L.R. n. 19/2009 (aggiunta dalla L.R. n. 1/2011);
- alla disciplina degli interventi edilizi in zona agricola (da potersi realizzare anche con possibili ampliamenti di volumetria in deroga agli strumenti urbanistici), di cui al comma 4 dell’articolo 6-bis della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 1/2011 e modificato dalla L.R. n. 16/2014);
- alla disciplina degli interventi di riqualificazione di aree urbane degradate, in deroga agli strumenti urbanistici e ai parametri edilizi, con riguardo a immobili dismessi, di cui al comma 5 dell’articolo 7 della L.R. n. 19/2009 (modificato dalle LL.RR. n. 1/2011, n. 5/2013, n. 16/2014);
- alla disciplina degli interventi di recupero edilizio, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, di edifici diruti e ruderi, di cui al comma 8-bis dell’articolo 7 della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 1/2011).
In secondo luogo, si fa presente che con la lettera h), numeri 1), 2), 3) e 4), del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in commento, viene modificata la disciplina di cui all’articolo 7-bis (Recupero dei complessi produttivi dismessi) della L.R. n. 19/2009 (aggiunto dalla L.R. n. 16/2014). Attraverso tale intervento è conferita ai comuni la facoltà di autorizzare, con rilascio dei relativi permessi a costruire, interventi finalizzati al recupero ed al riutilizzo di complessi industriali e produttivi dismessi da realizzarsi con ristrutturazioni effettuate mediante abbattimento e ricostruzione di volumetrie edilizie preesistenti, in applicazioni dell’articolo 5, comma 9, del D.L. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106/2011, eliminando il previgente vincolo di destinazione ad attività produttive.
Tanto premesso, si segnala che la lettera l) del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. n. 5/2016, nel sostituire il comma 4-bis dell’articolo 12 (Norma finale e transitoria) della L.R. n. 19/2009, così recita:
“l) il comma 4-bis dell'articolo 12 è sostituito dal seguente: "4-bis. Le disposizioni di cui all'articolo 36 del D.P.R. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda.".
Al riguardo, si ritiene che tale disposizione sia stata adottata in violazione dell’articolo 36 del dPR n. 380/2001 che richiede, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente intesa come conformità dell’intervento sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda. Infatti è evidente che la portata derogatoria della LR n. 19 del 2009 e successive modifiche, diviene applicabile anche ad interventi che, invece, eseguiti medio-tempore, nei periodi intercorrenti tra le varie modifiche ad opera delle leggi regionali succedutesi nel tempo e, (ora) fino alla data di entrata in vigore della L.R. n. 1/2016, avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia medio-tempore vigente. A ciò consegue, secondo la predetta disciplina regionale, il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nel presupposto che gli interventi “risultano conformi alla stessa legge” (ossia la L.R. n. 19 del 2009 nel testo risultante dalle modifiche via via succedutesi nel tempo).
Giova ricordare che la previsione statale del rilascio del titolo in sanatoria di cui all’art. 36 del TUE è volta a sanare violazioni solo “formali”. La “doppia conformità” è riconosciuta a livello giurisprudenziale come principio fondamentale vincolante per la legislazione regionale (cfr. C. Cost. n. 101/2013; Cons. Stato, IV, n. 32/2013, ove si precisa, tra l’altro che la disciplina urbanistica non ha effetto retroattivo; Cons. Stato, V, n.3220/2013; TAR Umbria n. 590/2014), La “doppia conformità”, è prevista sia per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di DIA alternativa o in difformità da essa (art. 36 del dPR n. 380/2001), sia per quelli eseguiti in assenza della o in difformità dalla SCIA (art. 37, co. 4 del dPR n. 380/2001).
Pertanto, la disposizione regionale in commento risulta avere l’effetto di legittimare ex post, mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, interventi cui la LR n. 19/2009, nella sua stesura originaria e nella versioni antecedenti alle modifiche via via introdotte, non avrebbe potuto essere applicata.
A mero titolo esemplificativo, si richiamano le già citate modifiche, introdotte all’articolo 7-bis (Recupero dei complessi produttivi dismessi) della L.R. n. 19/2009, ad opera della lettera h), numeri 1), 2), 3) e 4), del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in commento. La previgente disposizione, che, in ogni caso, si evidenzia, è stata aggiunta dalla L.R. n. 16/2014, consentiva il recupero dei complessi produttivi dismessi, purché si mantenesse la destinazione ad attività produttive. In base alla disposizione modificata, invece, tali interventi di recupero, senza che sia stato rispettato il previgente vincolo di destinazione ad attività produttive, divengono ora, per effetto di quanto previsto dalla disposizione recata dalla lettera l) del comma 1, dell’articolo 8 della L.R. in oggetto, “conformi” alla legge n. 19/2009, come modificata, e, quindi, sanabili mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In proposito, è appena il caso di ricordare che:
- l’Intesa 1° aprile 2009 tra Stato, regioni ed enti locali, sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, chiariva espressamente che gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione con possibile ampliamento degli edifici non potevano essere riferiti ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta;
- l’articolo 5 (Costruzioni private) del DL 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, recante, ai commi da 9 a 14, la disciplina di principio per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e per la promozione e agevolazione della riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, al comma 10, prevede che “10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.”
A ciò si aggiunga, quale ulteriore profilo di incostituzionalità della disposizione in commento, che a motivo delle rilevanti modifiche via via apportate alla L.R. n. 19 del 2016, le amministrazioni comunali potrebbero in realtà non trovarsi nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per caso e distinguere ciò che è stato realizzato (o proseguito, o completato) nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime. Ciò, in contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento.
Sotto tali aspetti, le suddette norme sono state adottate in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione “governo del territorio”, nonché degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
DURC NEL SETTORE EDILE. L'articolo 21, lett. d) rubricato “Contrasto al lavoro irregolare nel settore edile” stabilisce che, per attivare azioni di contrasto al lavoro nero nel comparto delle costruzioni e al fine di promuovere la sicurezza nei cantieri, per i lavori edili privati oggetto di permesso di costruire, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), denuncia di inizio attività (DIA), comunicazione inizio lavori (CIL) o comunicazione inizio lavori asseverata (CILA), il direttore dei lavori provvede a trasmettere allo Sportello unico dell'edilizia (SUE), all'inizio e alla fine dei lavori, il DURC dell'azienda esecutrice, attestante la sua regolarità contributiva e le avvenute comunicazioni di inizio e di fine lavori effettuate agli enti previdenziali, assicurativi e infortunistici e alla Cassa edile competenti per territorio. In relazione all’obbligo ivi previsto per il direttore dei lavori di trasmettere allo Sportello Unico dell’Edilizia (SUE) il DURC dell’azienda esecutrice, attestante la sua regolarità contributiva, si evidenzia una disarmonia con quanto previsto dalla legislazione nazionale che all'art. 44 bis del DPR 28/12/2000, n.445, prevede che "le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore.”
Risulta, pertanto, suscettibile di perplessità l'attribuzione al direttore dei lavori, da parte della norma in oggetto, dell’obbligo di acquisire e trasmettere il DURC al SUE, atteso che tale incombenza grava sulla pubblica amministrazione procedente ai sensi del richiamato art. 44 bis.
Inoltre, si rammenta che il DURC on line ha una validità di 120 giorni decorrente dalla sua emissione, che pertanto potrebbe potenzialmente coprire l’intero periodo intercorrente fra la data di inizio e la data di fine lavori, senza la necessità di dover ripetere la richiesta.
Per quanto sopra esposto, la disposizione regionale in questione contrasta con l’art. 117, terzo comma della Costituzione, in materia di tutela e sicurezza del lavoro.