Nel 2000 M. N. e A. G. T., separatamente, adivano il Tribunale di Trani (Sezione distaccata di Molfetta), per l’annullamento della delibera condominiale del 2000 con cui un Supercondominio in Molfetta aveva «revocato» un’esenzione dalle spese di esercizio e di consumo accordata di fatto a taluni condomini distaccatisi dall'impianto centralizzato di riscaldamento.
La normativa precedente
Nel 1989, due dei condomìni avevano proposto la cessazione del servizio centralizzato di riscaldamento entro il 1992, senza prospettare le modalità di trasformazione in impianti unifamiliari. Nel 1991 uno dei due condomìni deliberava di compiere il distacco entro qualche mese. Viceversa, nel 1992 il Supercondominio decideva di proseguire nell’utilizzazione dell’impianto esistente. Nel 1993 i tre amministratori dei condomìni concordavano di negare distacchi unilaterali intimando a chi si era già distaccato di riprendere a pagare interamente le quote per le spese del riscaldamento centralizzato. Seguono circa sette anni in cui tale intimazione non riceve seguito (nei confronti degli attori), finché nel 2000, con la delibera impugnata, l’assemblea del Supercondominio decideva di non agire per il saldo delle spese pregresse, ma si determinava a non tollerare più in futuro esenzioni da parte dei condomini nel frattempo distaccatisi.
In primo e in secondo grado le domande attoree venivano rigettate. Su ricorso in cassazione di N., Cass. 8727/2014 annullava la sentenza di appello sotto il profilo dell’omesso rilievo del litisconsorzio necessario processuale in relazione ad A. G. T. che non aveva partecipato al giudizio di appello, mentre dichiarava assorbito il secondo motivo di ricorso con il quale N. denunciava la violazione dell’art. 1123 co. 2 e 3 c.c. Riassunto il processo in sede di rinvio, la Corte di appello rigettava l’appello e confermava di nuovo la pronuncia di primo grado di rigetto dell’impugnazione della delibera condominiale.
Ricorre in cassazione N. con tre motivi, mentre resiste il Supercondominio con controricorso.
La Cassazione rigetta il ricorso
Nel rigettare il ricorso, la Cassazione, con la sentenza n. 17452/2023 pubblicata il 19 giugno, osserva che “l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie non solo alla conservazione, ma anche al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123 co. 1 c.c.). Ne segue che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio, poiché il condomino non è titolare di una pretesa a una prestazione sinallagmatica nei confronti del condominio e quindi non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio, essendo ben altri gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per reagire all’inerzia manutentiva del condominio”.
A ciò la Cassazione aggiunge che “nel caso di specie «la prova orale […] non ha […] confermato la situazione d’irreversibile degrado che a dire del N. l'aveva indotto a distaccarsi dall'impianto centralizzato. Invero nella comunicazione del 22/06/1991 egli ha denunciato solo la difettosità degli sfiatatoi dell'impianto. Le testimonianze […] hanno fatto riferimento esclusivamente a fenomeni di corrosione e ruggine, ma […] non emerge affatto che fosse impossibile un'agevole opera di risanamento». Inoltre, prosegue la Corte, non vi è prova di insufficienza del potere di riscaldamento. Viceversa, i passi della sentenza aggrediti dal ricorrente costituiscono mere argomentazioni di rincalzo (che indubbiamente avrebbero trovato una collocazione migliore alla fine della motivazione)”.