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Case solari attive, funzionano davvero? I risultati del primo monitoraggio europeo

I risultati del primo monitoraggio condotto sulle case attive alimentate solo grazie al sole. Dai dati del Fraunhofer Institut emerge qualche carenza progettuale che andrebbe affrontata

martedì 4 agosto 2015 - Erika Seghetti

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La vera sfida energetica delle costruzioni non è più quella di sviluppare modelli progettuali in grado di autosostenersi ma di produrre energia in più che possa essere utilizzata in caso di bisogno o immessa nella rete a servizio di un’intera area abitativa. Le tanto acclamate passivhaus stanno cedendo il passo alle abitazioni cosiddette passive. Fra Germania, Austria e Svizzera si contano finora 1700 abitazioni solari attive che, grazie al solo apporto del sole, riescono a produrre più energia di quanto ne consumino.
Ma come ogni evoluzione, ci vorrà del tempo prima che il modello prenda effettivamente piede. Se infatti per la progettazione passiva si dispongono di norme, standard e principi a cui fare riferimento, per quella attiva non esistono tutt’ora dei parametri precisi che regolano il settore. Ed è una lacuna che risiede alla base, perché finora non è stata effettuata nessuna operazione di monitoraggio al fine di comprendere il funzionamento delle case attive, di registrarne i risultati e di comprendere quali aspetti potrebbero essere modificati per migliorarne le prestazioni.

II primo monitoraggio

Diciamo finora perché il Fraunhofer Institut ha recentemente annunciato di disporre dei primi risultati del progetto ‘Heinzsolar’ che, condotto in collaborazione con l'Università Wärmetechnik di Stoccarda, l’Università tecnica di ilmenau e il Sonnenhaus Institut, con un contributo di 1,5 milioni di euro dal Ministero federale per l'Ambiente, ha monitorato nove abitazioni in suolo tedesco. Le unità, le cui esigenze in termini di riscaldamento e acqua calda sanitaria, sono coperte quasi completamente (si va da un 50 a un 100%) dal solare, sono dotate di impianti fotovoltaici, collettori solari termici, oltre a un ottimo isolamento e un sistema di ventilazione passiva che favorisce la circolazione dell’aria e la distribuzione omogenea del calore.

L’aver monitorato le prestazioni delle abitazioni per diversi cicli annuali (la fase di test è partita nel 2010), ci ha consentito di raccogliere una serie di informazioni da cui partire per formulare un’ottimizzazione e una riduzione dei costi- ha spiegato Gerhard Stryi-Hipp, responsabile del progetto. Ci aspettiamo che questo lavoro non solo migliori le prestazioni delle nove abitazioni ma che possa costituire una prima base da cui partire per comprendere meglio il panorama della progettazione attiva.I RISULTATI

Ma cosa è emerso dal monitoraggio? Il primo dato è che teoricamente è possibile sfruttare l’energia solare per coprire l’intero fabbisogno per il riscaldamento di un edificio. Ma disporre di una casa alimentata al 100% dal solare è, almeno al momento, impossibile. Perché sono troppo costose e richiedono una notevole quantità di spazio per accogliere sistemi di accumulo sufficientemente capienti. “Case attive che generano circa il 60% del calore grazie a collettori solari termici sono un buon compromesso, sostenibile anche da un punto di vista di costi- spiega Stryi-Hipp. "Per la primavera e autunno, 40 mq di collettori solari termici e un serbatoio di accumulo da 5mila litri sono sufficienti per alimentare una casa unifamiliare. Ma per coprire il periodo invernale, che va da novembre a gennaio, è necessario abbinare l’impianto fotovoltaico a un impianto a gas o a una caldaia a legno, per coprire il restante 40% dei consumi”

La vera carenza non è nelle singole scelte ma a livello di pianificazione progettuale

Aldilà delle singole strategie sviluppabili e delle scelte impiantistiche che possono essere fatte, la ‘questione cruciale’, secondo i ricercatori, risiede nella progettazione preliminare, che deve essere accurata. Finora la progettazione è stata affidata a singoli professionisti esperti, ma per il futuro sarebbe importante riuscire a sviluppare, e a far utilizzare, dei modelli di simulazione che possano essere condivisi e usati a livello universale. I ricercatori stanno infatti sviluppando un modello di simulazione che al momento può essere applicato alle abitazioni in esame per migliorarne alcuni aspetti e per valutare eventuali modifiche. Come ad esempio la possibilità di modificare le dimensioni dei serbatoi e la superficie dei collettori: in un’abitazione alimentata per il 60% dal solare, dichiarano i ricercatori, si potrebbero ridurre i serbatoi facendoli passare da una capienza di 6mila litri a 3, aumentando contestualmente la superficie dei collettori da 40 mq a 60. E anche il posizionamento dei serbatoi conta: se si installa il serbatoio nel vano scala, ad esempio, il calore di scarto non viene sprecato durante la stagione invernale.

Un nuovo progetto
Insomma, la ricerca è in work-in progress e il Fraunhofer ha annunciato di voler affrontare tutte le questioni emerse nel monitoraggio in un progetto follow-up di modo che si potranno fornire agli utenti dati certi e soprattutto linee guida per un progettazione attiva realmente efficiente.
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