“Non si ravvisano profili di incertezza nell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità e della prassi sull’assoggettamento ad Irap dell’esercizio in forma associata delle attività professionali.”
Lo ha precisato il viceministro dell’economia e delle finanze Luigi Casero nella sua risposta ieri in commissione Finanze della Camera a una interrogazione a risposta immediata con la quale si chiedevano chiarimenti circa l’assoggettamento all’Irap delle associazioni professionali, degli studi associati e delle società semplici esercenti attività di lavoro autonomo.
Casero ha evidenziato che nel senso dell'assoggettamento all'Irap degli studi associati “dispone in modo chiaro il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il quale, nel dettare la disciplina del presupposto impositivo del tributo in parola, dispone che « l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta. ».
Come evidente, la norma sopra riportata deroga, di fatto, alla disposizione di cui al primo periodo dello stesso comma ove si subordina l’assoggettamento ad Irap all’esercizio di una attività autonomamente organizzata. Di conseguenza, l’eventuale assenza del citato requisito dell’autonoma organizzazione assume rilevanza unicamente nei casi in cui l’attività sia esercitata in forma individuale e non anche in forma associata, posto che, in tale ultimo caso, il successivo periodo considera tale requisito esistente « in ogni caso ».”
Il viceministro ha ricordato che “l’articolo 3 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997 prevede, inoltre, che soggetti passivi d’imposta sono « ...coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’articolo 2. Pertanto sono soggetti all’imposta:
a) le società e gli enti di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto testo unico, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all’articolo 51 del medesimo testo unico;
c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto testo unico esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico.
Tanto premesso, nella recente sentenza 14 aprile 2016, n. 7371, cui fanno riferimento gli Onorevoli interroganti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite – alla quale è stata rimessa la questione « se in applicazione del combinato disposto del Decreto legislativo n. 446 del 1997, articoli 2 e 3, debba essere sottoposto ad Irap il « valore aggiunto prodotto nel territorio regionale da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una autonoma organizzazione dei fattori produttivi» – ha enunciato il principio di diritto secondo cui « quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione ».”
Sulla questione Casero ha posto in evidenza che “la trasmissione al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione operata dalla Sezione VI non è stata determinata da un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, bensì dalla evidenziata mancanza di un percorso argomentativo lineare nell’ambito delle pronunce delle diverse sezioni semplici.
In particolare, nell’ordinanza di rimessione del 25 febbraio 2015, n. 3870 si legge che « La difficoltà evidente di rinvenire, nel tessuto argomentativo delle decisioni fini qui richiamate, un lineare percorso logico-argomentativo che consenta di fare applicazione uniforme della regola desumibile dal decreto legislativo n. 446 del 1997, articoli 2 e 3, alle fattispecie di attività professionale espletata nella veste societaria, rafforza il convincimento di questa Corte in ordine all’opportunità che la questione sia devoluta alle Sezioni Unite, ai fini di un auspicabile chiarimento a tutto tondo, in modo da ottenere una pronuncia vincolante per i collegi ordinari, e che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per coloro che debbono redigere ricorsi ».”
Il viceministro ha sottolineato che “in relazione all’assoggettamento ad Irap degli studi associati l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è univoco da tempo. È opportuno richiamare, per tutte, la sentenza 6 marzo 2015, n. 4578 nella quale la Suprema Corte ha affermato che « l’esercizio in forma associata dell’attività, sebbene senza dipendenti o collaboratori e, comunque, con beni strumentali di esiguo valore, è circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e delle rispettive competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio e, conseguentemente, debba essere assoggettato all’IRAP, a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dalla sola attività dei singoli associati ».
L’esercizio in forma associata dell’attività rileva, quindi, in ogni caso ai fini dell’assoggettabilità ad Irap. Negli stessi termini, ex multis, sentenza 31 maggio 2016, n. 11327; ordinanza 19 dicembre 2014, n. 27007; sentenza 28 novembre 2014, n. 25313; ordinanza 4 novembre 2011, n. 23002 (che richiama numerosi precedenti ante 2009), ordinanza 7 giugno 2010, n. 13716.”
“Sebbene la giurisprudenza richiamata, nella sostanza, conferma la correttezza dell’operato degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, i medesimi – ha concluso il viceministro Mef - approfondiranno la tematica segnalata al fine di individuare le possibili soluzioni idonee a contemperare le esigenze dei contribuenti e le pretese erariali.”