La consulenza tecnica “può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, quando si risolva in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass. 3710/03) e percepibili con l'ausilio di specifiche strumentazioni tecniche (Cass. 9090/03, 4743/07)”.
Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sezione III civile, con la sentenza n. 2761/2015 depositata il 12 febbraio.
L'ONERE DELLA PROVA. La suprema Corte ricorda che, “recentemente, le Sezioni Unite hanno ribadito che, pur non essendo la consulenza tecnica d'ufficio qualificabile come mezzo di prova in senso proprio e non potendo essere utilizzata per sgravare le parti dai loro oneri probatori, è consentito affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (cosiddetta consulenza deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (cosiddetta consulenza percipiente), quando si tratta di fatti che la parte ha dedotto e posto a fondamento della sua domanda ed il cui accertamento richiede specifiche cognizioni tecniche (si veda tra le altre, Cass. 13 marzo 2009, n. 6155). Hanno quindi concluso che la complessità della ricostruzione della situazione in cui l'illecito si sia consumato e la diversità delle possibili opzioni tecniche in base alle quali individuare gli elementi decisivi al fine d'identificare e quantificare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito possono giustificare l'affidamento al ctu dei compiti di accertamento. (v. Sez.Un. n.30175/2011 in motivazione)”.