La legislazione regionale “è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, Cost.”.
Lo ha ribadito la Corte di cassazione nella sentenza n.15746/2019 depositata il 10 aprile.
L'articolo 20 della Legge regionale siciliana 16 aprile 2003 n. 4 stabilisce che, in deroga ad ogni altra disposizione normativa, non sono soggette a concessione o autorizzazione né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione, la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo. In tali casi, contestualmente all'inizio dei lavori, il proprietario dell'unità immobiliare deve limitarsi a presentare al sindaco una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico-sanitarie vigenti ed a versare a favore del comune un determinato importo per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria. Tali disposizioni sono applicabili anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie, come previsto dall'articolo 9 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37. Ai fini dell'applicazione delle richiamate disposizioni il medesimo articolo precisa, al comma 4, che sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, mentre si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Alle verande sono assimilate le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree private. La disposizione in esame consente anche, a determinate condizioni, la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate.
“Dei rapporti tra la summenzionata disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel D.p.r. 380/01 si è ripetutamente occupata la giurisprudenza di questa Corte. Si è così avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi”, ricorda la Cassazione.
“Con specifico riferimento alla individuazione, in via di eccezione, ad opera della Legge regionale 4/2003, di opere precarie non soggette a permesso di costruire, si è osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il «criterio strutturale», considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello «funzionale», relativo all'uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi, Rv. 246771; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda, Rv. 237533). Si è infine specificato che la legislazione regionale in disamina è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizoo armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli, Rv. 257594; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro, Rv. 255254; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro, Rv. 241287)”.
Tanto premesso, conclude la Cassazione, “nella specie la Corte territoriale ha espressamente escluso, in ragione dei ricordati principi giurisprudenziali, che ha opportunamente menzionato, che le opere realizzare potessero in qualche modo rientrare entro l'ambito di operatività della disciplina regionale.
Tale affermazione, giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata, si fonda sulla obiettiva valutazione di un dato fattuale e, segnatamente, sulla natura e consistenza dell'intervento (cfr pag 4 della sentenza impugnata dove si evidenzia la modalità di chiusura dei balconi con struttura in cemento e mattoni forati tale da escludere il requisito della facile rinnovibilità dell'opera) e, quindi, su accertamento in fatto adeguatamente argomentato, come tale non sindacabile in questa sede di legittimità”.
In allegato la sentenza