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Casse di previdenza per i liberi professionisti: il X Rapporto AdEPP

Se da una parte le entrate contributive sono aumentate del 100% in 14 anni dall’altra anche il numero di prestazioni raggiunge un + 70% e gli importi erogati +95%. Iscritti: crescono i pensionati attivi, diminuiscono gli under 40. Redditi, i più penalizzati i giovani, le donne e i professionisti del Sud

giovedì 17 dicembre 2020 - Redazione Build News

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La fotografia che appare dal X Rapporto AdEPP sulla previdenza privata, presentato ieri in videoconferenza, ci rimanda un Paese dove i giovani professionisti guadagnano meno dei colleghi senior, le donne meno degli uomini e quelli che risiedono nel Sud Italia meno di quelli del Nord e del Centro.

Negli ultimi 14 anni, il reddito nominale dei liberi professionisti è aumentato del 2,4% mentre quello reale è sceso di quasi il 14%. Pressoché stabile resta invece il reddito nell’ultimo anno di analisi.

I liberi professionisti “under 40” guadagnano un terzo dei loro colleghi over 50.

I professionisti nel Mezzogiorno dichiarano un reddito del 50% inferiore ai colleghi del Nord mentre i professionisti del centro Italia dichiarano il 20% in meno.

Un esempio tra tutti: un professionista uomo del Trentino-Alto Adige guadagna in media 62 mila euro all’anno, un collega della Calabria poco più di 13 mila euro annui.

“Queste tendenze sottolineano la necessità di investire con politiche che sostengano il lavoro e i redditi dei professionisti – dice il presidente dell’AdEPP Alberto OlIveti –. La previdenza infatti comincia dal lavoro. Se non si rafforzano i redditi, i giovani e le donne, specie al Sud, rischiano di non potersi costruire pensioni adeguate”.

Reddito di ultima istanza. A chiederlo quasi la metà dei professionisti, il 75% giovani.

I liberi professionisti che hanno ottenuto l’indennizzo statale per almeno uno dei tre mesi (600 euro per marzo e aprile, 1.000 euro per maggio) sono stati oltre mezzo milione (513.882), di questi poco meno della metà (242.569) sono donne.

In termini percentuali il 47% dei liberi professionisti ha fatto richiesta dell’indennizzo.

Va evidenziato che, nella fascia tra i 30 ed i 40 anni, sono pervenute domande dal 75% dei liberi professionisti uomini mentre tra le donne “solo” il 53% lo ha chiesto.

“L’impressionante quota di professionisti che è rientrata nei requisiti stringenti fissati dallo Stato dimostra quanto importante sia stata la nostra battaglia per ottenere l’inclusione degli iscritti alle Casse tra i beneficiari di questo sussidio – dice il presidente di AdEPP Alberto Oliveti –. Ricordiamo che inizialmente i professionisti erano esclusi e solo dopo un serrato confronto con il Governo è stato possibile inserirli, a patto che le Casse anticipassero le risorse necessarie”.

Iscritti. Crescono i pensionati attivi, diminuiscono gli under 40

I professionisti pensionati continuano a lavorare anche dopo il pensionamento. È questo uno dei dati che emerge dal X rapporto AdEPP, +4,16% rispetto all’anno precedente e oltre il +100% negli ultimi 14 anni.

“Le riforme, che stanno gradualmente, ma costantemente incrementando l’importanza della componente contributiva nel computo della misura delle prestazioni pensionistiche, hanno incentivato la prosecuzione del versamento dei contributi anche dopo la pensione”, osserva Oliveti.

Più della metà degli iscritti (53%) rientra nella fascia d’età tra i 40 e i 60 anni.

Il numero di iscritti “under 40” è diminuito dal 41% del 2005 all’attuale 28,1%, mentre nello stesso arco temporale è aumentato il numero degli “over 60” che è cresciuto dal 10% al 19%.

Professioniste, più donne iscritte under 40 ma meno pagate degli uomini

Le donne diventano professioniste prima degli uomini (32 anni contro i 35 dei colleghi).

Tra gli “under 40”, le professioniste rappresentano il 53%. Ma la tendenza alla femminilizzazione si ferma con il passare degli anni. Infatti, le donne tra i 50 e 60 anni rappresentano solo il 33% degli iscritti e le proporzioni diminuiscono ulteriormente con l’aumentare dell’età. Un dato dovuto al fatto che le donne scelgono la libera professione solo da pochi anni e alcune l’abbandonano perché non conciliabile con gli impegni familiari (figli, genitori anziani, ecc).

“L’uscita dalla professione va contrastata con politiche ad hoc che permettano una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia – dice il presidente Oliveti –. Non è un caso che le Casse stiano potenziando le misure in questa direzione”.

A proposito di gender pay gap le libere professioniste dichiarano il 45% in meno dei loro colleghi uomini e la media dei redditi tra le donne è di circa 24 mila euro contro i 43 mila euro dei colleghi.

Un divario che aumenta con l’aumentare dell’età e a seconda della zona del Paese dove la donna lavora. Il divario maggiore, questa volta, si registra nel Centro e Nord Italia. Al Nord la differenza uomo-donna è del 46%, al Centro del 47% mentre al Sud del 43%.

Aumentano le entrate e le prestazioni

Se da una parte le entrate contributive sono aumentate del 100% in 14 anni dall’altra anche il numero di prestazioni raggiunge un + 70% e gli importi erogati +95%.

Le prestazioni erogate ammontano a 7 miliardi di euro nel 2019 (+6,05% rispetto all’anno 2018).

Casse. Tassate come investitori speculativi

Gli Enti previdenziali privati e i propri iscritti subiscono una duplice tassazione sostanziale dei rendimenti: una prima volta nella fase della maturazione e una seconda nella fase dell’erogazione delle prestazioni.

Una duplicazione che non riflette lo standard continentale e penalizza gli Italiani, osserva Oliveti: “In un mercato unico europeo, i professionisti italiani sono costretti a maggiori accantonamenti previdenziali a causa dell’elevata tassazione a cui sono sottoposti i loro enti. I professionisti sono dunque costretti a scaricare gli extra-costi sui clienti finali. Questo meccanismo indebolisce la capacità di competere dei professionisti italiani nello scenario europeo, rendendo le loro prestazioni professionali meno attrattive.”

Oltretutto la tassazione è più elevata anche rispetto ad altri soggetti italiani.

La normativa vigente prevede che i rendimenti del patrimonio degli Enti previdenziali privati siano assoggettati a una aliquota di tassazione del 26% a differenza dei Fondi pensione per i quali l’aliquota standard è del 20%.

Ma non solo. Per quanto riguarda i rendimenti mobiliari derivanti da dividendi e commissioni retrocesse e i rendimenti del patrimonio immobiliare sotto forma di canoni di locazione, gli Enti previdenziali vengono assoggettati all’imposta sui redditi delle società (IRES).

Va infine ricordato che le Casse di previdenza non possono detrarre l’Iva sui loro costi, a differenza delle imprese che si occupano di investimenti. Di fatto gli Enti di previdenza per perseguire le proprie strategie prudenziali di investimento competono nel mercato aperto con gli investitori legittimamente speculativi, con il paradosso di dover subire maggiori oneri rispetto a questi ultimi.

IN ALLEGATO IL X RAPPORTO ADEPP

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