“La scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non è conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall'art. 38 Cost., né al buon andamento della gestione amministrativa della medesima”.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 7/2017 depositata ieri che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135) nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Consiglio di Stato sulla base dell'appello della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC) e da due iscritti alla Cassa in proprio, proposto contro la sentenza del Tar Lazio – Roma n. 6103 del 18 giugno 2013, che aveva rigettato il ricorso avverso i provvedimenti applicativi dell’art. 8 del Dl n. 95/2012.
La norma censurata impone alle Casse di previdenza privatizzate di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, in forza della loro inclusione nell’elenco redatto dall’Istat, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), di adottare interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per cento a partire dal 2013, nonché di riversare annualmente i risparmi di spesa, così conseguiti sui propri consumi intermedi, al bilancio dello Stato.
Secondo la Consulta con l’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 “l'art. 3 Cost. risulta violato per l'incongrua scelta di sacrificare l'interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale”. Inoltre, la disposizione “collide anche con l'art. 97 Cost., in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti”.
Il presidente della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti, Walter Anedda, ha parlato di “un grande risultato per tutti gli iscritti alla Cassa Dottori Commercialisti (e dei professionisti in genere), che vedono difeso dal proprio Ente il diritto a vedere impiegati i propri risparmi previdenziali unicamente per le finalità istituzionali, senza che, attraverso una surrettizia forma di imposizione tributaria, possano essere destinati a una generica finalità di copertura della spesa pubblica. In particolare – sottolinea Anedda - la Corte ha integralmente capovolto le argomentazioni della Avvocatura dello Stato, rilevando come un prelievo nei confronti delle Casse, dotate per legge di autonomia finanziaria, garantita dai contribuiti dei propri iscritti, non è conforme al dettato Costituzionale. La Corte ha chiarito definitivamente che, una volta che lo Stato ha scelto – come ha fatto nel 1994 - di garantire ai professionisti un futuro previdenziale tramite degli enti di diritto privato, dotati di autonomia, gestionale, organizzativo e contabile, deve coerentemente preservare tale assunto, non incidendo con interventi normativi che possono comunque alterare il sinallagma contributi/prestazioni ovvero l'autosufficienza finanziaria”.