Con decisione del 2 aprile 2014, la Commissione europea ha inflitto delle ammende per un ammontare di oltre 300 milioni di euro a diversi produttori di cavi elettrici ad alta (altissima) tensione sotterranei e sottomarini per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale. Detti cavi sono abitualmente utilizzati per la trasmissione e la distribuzione di elettricità e collegano le reti elettriche di più paesi. Secondo la Commissione, a partire dal 1999 e per quasi dieci anni i principali produttori europei, giapponesi e sudcoreani di cavi elettrici hanno partecipato ad un’intesa volta a restringere la concorrenza per dei progetti in territori specifici, ripartendosi i mercati e i clienti e falsando così il normale gioco della concorrenza.
La maggior parte dei produttori interessati hanno presentato ricorsi dinanzi al Tribunale dell’Unione europea per far annullare la decisione della Commissione ed ottenere l’annullamento delle ammende inflitte o una riduzione dell’importo delle stesse.
TRIBUNALE UE BOCCIA I RICORSI. Con una serie di sentenze in data 12 luglio 2018, il Tribunale Ue ha respinto tutti questi ricorsi.
In particolare, il Tribunale ha convalidato la realizzazione, da parte della Commissione, in occasione della sua ispezione nei locali delle imprese coinvolte, di copie-immagine del disco rigido dei computer del personale di tali imprese al fine di ricercarvi in un momento successivo, nei propri locali a Bruxelles, informazioni di interesse. Inoltre, il Tribunale ritiene che la Commissione non sia obbligata ad esaminare i documenti unicamente presso i locali dell’impresa; pertanto, essa poteva legittimamente proseguire l’ispezione nei propri locali a Bruxelles, in presenza degli avvocati delle imprese interessate. Infine, la Commissione non era obbligata ad avvisare l’Autorità belga per la concorrenza al fine di proseguire l’ispezione nei propri locali a Bruxelles, dato che l’esame dei documenti non era cominciato presso i locali di un’impresa situata in Belgio, ma nel territorio di altri Stati membri.
Per quanto concerne la competenza territoriale della Commissione a sanzionare prassi e progetti realizzati al di fuori dello Spazio economico europeo (SEE), il Tribunale Ue ricorda che il diritto dell’Unione è territorialmente applicabile in casi di tal genere, quando sia prevedibile che le pratiche contemplate produrranno effetti immediati e sostanziali nel mercato interno. Il Tribunale considera a tal proposito che la Commissione non era tenuta a dimostrare che ciascuno dei progetti da realizzarsi al di fuori del SEE aveva ripercussioni nell’Unione sufficienti a giustificare l’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione, dato che l’applicabilità di quest’ultimo dev’essere valutata alla luce degli effetti (congiuntamente presi, e non considerati isolatamente gli uni dagli altri) delle diverse pratiche anticoncorrenziali. Nel caso di specie, il Tribunale considera che l’intesa ha avuto effetti prevedibili e immediati sulla fornitura di cavi elettrici e sulla concorrenza nel settore. Ritiene inoltre che la Commissione abbia correttamente concluso che l’intesa aveva prodotto degli effetti sostanziali sul mercato interno, tenuto conto dell’importanza e del numero dei produttori che avevano partecipato all’intesa, della vasta gamma di prodotti interessati, della gravità delle pratiche in questione e della notevole durata dell’infrazione unica.
Per quanto riguarda i ricorsi proposti da talune imprese condannate al pagamento in solido dell’ammenda inflitta alla loro partecipata, il Tribunale conferma l’analisi della Commissione secondo cui dette imprese hanno effettivamente esercitato un’influenza sul comportamento delle partecipate in questione. A tal proposito, il Tribunale conclude, così come ha fatto la Commissione, che, quando una società madre – nel caso di specie una banca di investimenti – detiene tutti i diritti di voto associati alle azioni della propria partecipata, in particolare in combinazione con una partecipazione largamente maggioritaria al capitale di quest’ultima, si può presumere che detta società madre determini la strategia economica e commerciale della partecipata, pur non detenendo la totalità o la quasi totalità del capitale sociale della stessa. Il Tribunale estende così la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante stabilita dalla sentenza Akzo al caso in cui una società madre abbia la possibilità di esercitare l’insieme dei diritti di voto inerenti alle azioni della sua partecipata, pur non detenendo il 100% del capitale di quest’ultima. Inoltre, il Tribunale considera che la Commissione ha correttamente tenuto conto di altri elementi oggettivi che consentono di constatare l’esercizio effettivo di un’influenza determinante di tale impresa sulla propria partecipata, ossia il potere della società madre di nominare i membri del consiglio di amministrazione della partecipata, il potere di convocare gli azionisti alle assemblee, quello di proporre la revoca dei membri del consiglio di amministrazione, il ruolo svolto dagli amministratori della società madre nel comitato strategico della partecipata, o ancora la ricezione di aggiornamenti regolari e relazioni mensili sull’attività della partecipata. Il Tribunale Ue ritiene infine che l’impresa in questione non abbia presentato argomenti sufficienti a dimostrare che le proprie partecipazioni nella società partecipata riguardavano solo la realizzazione di un mero investimento finanziario e non la gestione e il controllo di detta società partecipata.
Il testo integrale delle sentenze (T-419/14, T-422/14, T-438/14, T-439/14, T-441/14, T-444/14, T-445/14, T-446/14, T-447/14, T-448/14, T-449/14, T-450/14, T-451/14, T-455/14 e T-475/14) è pubblicato sul sito CURIA il giorno della pronuncia.