La fattispecie esaminata dalla Cassazione penale nella sentenza n. 6873/2017 concerne l’avvenuta realizzazione di alcuni interventi, su un edificio storico di Firenze (Palazzo Tornabuoni-Corsi), ubicato interamente in “zona A” del vigente PRG, interventi questi ultimi diretti a realizzare una radicale trasformazione dell'immobile, con modifica della destinazione d'uso ed in assenza di permesso di costruire.
Nel testo della pronuncia si afferma il principio in base al quale ogni volta in cui vi sia cambio di destinazione d’uso in “zona A”, l’intervento così riferito deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e deve richiedere il previo rilascio di un permesso di costruire. Nel paragrafo 9 della sentenza si estende tale principio anche agli interventi suscettibili di essere qualificati come restauro e risanamento conservativo e, ciò, nella parte in cui si afferma che “resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d'uso anche all'interno della medesima categoria funzionale”.
Tali conclusioni, a parere del Tar Toscana – sentenza n.1009/2017 depositata il 28 luglio - “non sono condivisibili, in quanto hanno l’effetto di sancire una sostanziale equiparazione tra istituti che nel nostro ordinamento sono riconducibili a fattispecie del tutto differenti (la ristrutturazione edilizia e il restauro e il risanamento conservativo), prevedendo la necessità del permesso di costruire per il solo fatto che l’immobile insista nella 'zona A' e, ciò, a prescindere da un esame delle caratteristiche del singolo intervento”.
L'ANALISI DELL'ANCI. “L’attuale contesto normativo ed il recente orientamento giurisprudenziale – ricorda l'Anci (Associazione dei comuni italiani) - ammettono il 'cambio d’uso' anche nei centri storici con una semplice SCIA senza, pertanto, la necessità di una richiesta più complessa di permesso di costruire. I cambi d’uso possono essere, quindi, realizzati anche se gli strumenti urbanistici vietano la ristrutturazione edilizia purché possano essere inclusi nella categoria del 'restauro conservativo'.
La definizione di interventi di restauro e di risanamento conservativo è contenuta nell’art. 3 comma 1 lettera c del dpr 380/2001 modificato dalla legge n. 96 del 2017: “gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”.
“Tale impostazione normativa”, commenta l'Anci, “è stata confermata con la sentenza del TAR Toscana n.1009/2017 in discontinuità rispetto a quanto recentemente affermato (Febbraio 2017) dalla Cassazione Penale 6873/2017 la quale aveva escluso che un edificio potesse essere trasformato - ad esempio da banca a struttura ricettiva alberghiera - con un restauro e ristrutturazione e pertanto necessitasse la procedura più complessa di richiesta del 'permesso di costruire' (titolo autorizzativo che il comune rilascia per eseguire interventi di trasformazione urbanistica del territorio)”.