Fisco

Che cosa significa “regola d’arte”?

Complesso delle regole tecniche cui attenersi al fine di assicurare uno standard minimo di accettabilita del prodotto, in termini di utilizzabilita, durata, affidabilita e sicurezza

giovedì 11 giugno 2015 - Redazione Build News

cittadino
Risponde il dott. ing. Luciano Brusaferro, Commissione Ingegneria Forense Ordine Ingegneri di Milano

Come spesso accade in questi casi, se ci si sofferma un attimo a riflettere, la risposta rischia di rivelarsi non più così ovvia, specie se si tratta della risposta ad una domanda posta con uno scopo ben preciso. Si pensi ad esempio alla domanda del Magistrato che pone al Consulente Tecnico d’Ufficio il classico quesito: “Dica il CTU se il lavoro (o un’attività) é stato eseguito a regola d’arte”. 

Appunto. È davvero sempre così facile rispondere? A nostro avviso non sempre, anche perché quella risposta apparentemente banale costituisce un riferimento per il magistrato che deve giudicare la professionalità delle imprese o dei tecnici. Non si può rispondere superficialmente, tutt’altro. E soprattutto bisognerebbe cominciare ad intendersi sul significato della famosa regola d’arte. Anche perché definizioni ufficiali non sono frequenti. Certo, ci possono soccorrere i dizionari. Anche quelli moderni, come l’ormai onnipresente Wikipedia, che interpellata recita: “Regola d’arte: l’insieme delle tecniche considerate corrette per l’esecuzione di determinate lavorazioni”. Sono definizioni che dicono tutto e niente, come è inevitabile per dizionari ed enciclopedie, più o meno moderne.

Manca invece una consolidata definizione normativa, e questa è una carenza importante, tant’è che solo ora si inizia ad introdurne la definizione nelle norme.

Anche perché il concetto di regola d’arte è abbondantemente ripreso, più o meno direttamente, in numerosi articoli del Codice Civile. Ad esempio l'art. 1176 del C.C. prescrive che “nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”, per l'art. 2224 il prestatore d'opera è tenuto a procedere all'esecuzione dell'opera “secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte2. Quindi il Legislatore (e di conseguenza il Magistrato che applica le leggi) utilizza tranquillamente il concetto di regola d’arte, ma la legge stessa non ne fissa una esauriente definizione (salvo voler fare riferimento a norme di settore come ad esempio la regola tecnica degli impianti antincendio contenuta nel recentissimo D.M. 20.12.2012), lasciando così il campo aperto a qualsiasi valutazione:

  • La regola d’arte deve forse essere intesa come stato dell’arte, cioè il livello massimo delle prestazioni oggi ottenibili? Deve intendersi come il top della tecnica odierna, essere qualcosa di simile alla B.A.T. (best available technology) di derivazione anglosassone?
  • Oppure dev’essere al contrario considerabile alla stregua di uno standard minimo, sotto al quale non si può scendere al fine di garantire buoni risultati e corretto godimento del bene? Come sintetizzato dall’acronimo inglese ALARA che significa As Low As Reasonably Achievable (il più basso ragionevolmente raggiungibile). E tutto questo può essere messo in relazione con il prezzo (alto, basso) che il Committente paga per la prestazione?
  • O ancora è forse sufficiente rifarsi al mero rispetto delle regole sancite dalla legislazione tecnica e dalle varie normative di settore ? O c’è di più?
Certo oggi viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui si viveva anche solo pochi decenni orsono. Una delle caratteristiche del mondo odierno è proprio quella di tendere a normare moltissime attività, molto più di quanto accadesse in passato. Si pensi agli esempi più conosciuti e comuni (le norme UNI, le norme CEI, le norme di sicurezza, le norme per la prevenzione degli incendi, le norme tecniche per le costruzioni, le norme sull’igiene e la sicurezza, e gli esempi potrebbero continuare a lungo). Questo complesso normativo, per la gran parte di derivazione comunitaria, tende ormai a raggiungere moltissime attività, anche di tipo tecnico oltre che di tipo industriale e manifatturiero. Quindi forse grazie a questo corpo normativo sempre più imponente e pervasivo di un po’ tutte le attività umane diventa più facile il compito di definire quale sia la famosa regola d’arte. Ma è sufficiente questo?

Si aggiunga che non sempre si tratta di questioni riconducibili al solo Codice Civile. La responsabilità penale connessa alla regola d’arte interessa principalmente due aspetti molto diversi tra loro:

  1. le certificazioni/asseverazioni/collaudi di determinati status;
  2. fenomeni colposi (lesioni ed omicidio colposo) dovuti a conseguenze individuali o collettive verificatesi a seguito di eventi fisici, con conseguente necessità di stabilire se, laddove l'opera fosse stata realizzata a regola d’arte l’evento si sarebbe ugualmente verificato e con quale percentuale di probabilità.
Guardando anche alla legislazione estera, a questo secondo aspetto si riferisce ad esempio una norma del Codice Penale elvetico, il cui articolo 229 (Violazione delle Regole dell’arte in edilizia) recita: “Chiunque, dirigendo od eseguendo una costruzione o una demolizione, trascura intenzionalmente le regole riconosciute dell’arte e mette con ciò in pericolo la vita o l’integrità delle persone, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. Se il colpevole ha trascurato per negligenza le regole riconosciute dell’arte, la pena è una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria”.

Ancora una volta la domanda: di quali regole dell’arte sta parlando il Legislatore? Queste sono quindi le questioni da cui siamo partiti nelle nostre riflessioni, ed a cui abbiamo cercato di dare una risposta.

DEFINIZIONE DI REGOLA D'ARTE. Anzitutto una doverosa premessa: nonostante il concetto di regola d’arte sia ovviamente universale ed applicabile a qualsiasi attività, nel considerare l’esecuzione di lavori e le prestazioni tecniche connesse con tali lavori si tende in genere a pensare soprattutto ai più frequenti casi di contenzioso riferiti ai lavori connessi con l’ingegneria civile e impiantistica. 

Chiaro che anche un software gestionale, un contratto di compravendita, o un paio di scarpe o di occhiali può essere fatto più o meno a regola d’arte, ma meno frequentemente sentiremo usare questa espressione per quel genere di attività. Quindi per cercare di delimitare il campo (altrimenti infinito) è giusto dare atto che oggetto delle nostre riflessioni è stato essenzialmente il campo già comunque vasto dell’ingegneria civile e dell’impiantistica ad esso connessa. 

Chiarito questo, le riflessioni che ne sono seguite ci hanno portato ad identificare la regola d’arte come il complesso delle regole tecniche cui attenersi al fine di assicurare uno standard minimo di accettabilità del prodotto, in termini di utilizzabilità, durata, affidabilità e sicurezza. Laddove per prodotto si intende non necessariamente solo un manufatto, ma anche il risultato di una attività intellettuale, quale ad esempio un progetto.

RAPPORTI CON IL CONTRATTO. È chiaro che, a partire da quanto appena stabilito, le casistiche contrattuali possono essere infinite. Un contratto (di qualsiasi genere) può stabilire che a fronte del prezzo pagato, il risultato preteso sia ben superiore allo standard minimo offerto dalla regola d’arte. E quindi in questi casi il contratto potrebbe essere considerato largamente disatteso nonostante il rispetto della regola d’arte. 

Quindi un contratto che tende all’eccellenza amplifica il distacco fra il prodotto a regola d’arte ed il prodotto contrattualmente atteso, che può legittimamente essere di qualità ben superiore in funzione del prezzo pagato. Non si tratta però a quel punto di un problema di mancata esecuzione a regola d’arte, ma di un problema di mancato rispetto del contratto. È importante avere chiara questa distinzione. Con espressione sintetica, si può dire che fra regola d’arte e contratto vi è usualmente un rapporto di continenza, nel senso che le norme contrattuali comprendono (a volte dandole per scontate) le norme della regola d’arte, e spesso ne aggiungono di ulteriori e più elevate nei confronti del prodotto atteso.

RAPPORTI CON ILA NORMATIVA TECNICA. Come anticipato in premessa, la normativa tecnica oggi disponibile è talmente ampia e diversificata da comprendere ormai pressoché ogni prodotto e attività. Chiaro tuttavia che non tutte le norme tecniche hanno pari importanza e pari dignità. Possono essere distinti almeno tre livelli:

  • ci sono norme tecniche inserite in dispositivi di legge ed anche leggi e decreti che regolamentano questioni tecniche, il cui rispetto è obbligatorio e deve quindi essere dato per scontato (si pensi ad esempio alla normativa antincendio o alle norme tecniche per le costruzioni). Sono in genere le norme legate alla sicurezza delle persone o alla fruibilità e durata del bene;
  • ci sono altre normative tecniche assai diffuse e conosciute, usualmente richiamate nel Capitolati e nei contratti (frequente il caso delle norme UNI), al cui rispetto l’esecutore è quindi tenuto per norma contrattuale;
  • ci sono infine norme di tipo settoriale, elaborate ad esempio da associazioni di categoria, o rintracciabili nella letteratura tecnica specializzata, il cui rispetto è essenzialmente di tipo volontaristico, a meno che siano state inserite in contratto.
Tutti questi livelli concorrono alla formazione della regola d’arte, cioè definiscono il complesso delle regole tecniche cui attenersi al fine di assicurare uno standard minimo di accettabilità del prodotto, in termini di utilizzabilità, durata, affidabilità e sicurezza in un determinato momento storico. Da questo punto di vista, quindi, la nostra ormai famosa regola d’arte può anche essere identificata come l’inviluppo delle norme tecniche, generali e di settore, comunemente conosciute ed applicate in un determinato periodo storico relativamente ad una data attività.

Definizione non necessariamente esaustiva, perché laddove la norma comunque manchi o non sia del tutto pertinente con il caso in esame, non potrà mai mancare in ultima analisi la valutazione della prassi con l’esperienza tecnica ed il buon senso di chi è chiamato a formulare il giudizio.

Tratto da Il Giornale dell'Ingegnere

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