Con la sentenza n. 1651/2025 pubblicata il 25 febbraio, il Consiglio di Stato (Sezione Seconda) ha accolto un ricorso che ha impugnato la comunicazione di inefficacia della comunicazione inizio lavori asseverata - C.I.L.A. Superbonus presentata il 27 dicembre 2021. Tale comunicazione di inefficacia è stata notificata il 20 marzo 2024 dal Comune di Torre del Greco.
Cos'è la CILA
Palazzo Spada premette che la C.I.L.A. è "un istituto intermedio tra l'attività edilizia libera e la s.c.i.a.", ascrivibile, al pari del secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private.
Il Consiglio di Stato, con parere n. 1784 del 4.8.2016, ha rilevato come "l'attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall'Amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio".
Due orientamenti giurisprudenziali sulla CILA
“Nel tempo, la questione ha visto la giurisprudenza attestarsi su due diverse ricostruzioni”, ricorda la sentenza n. 1651/2025 del Consiglio di Stato. “Secondo un’opzione ermeneutica, l'attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, quanto piuttosto deve essere soltanto conosciuta dall'amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio; essa si differenzia dalla SCIA, in quanto rispetto alla CILA il Comune può esercitare un potere meramente sanzionatorio, mentre nel caso della SCIA, il potere può essere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela.
Tutto ciò non fa venir meno il potere del Comune di verificare il contenuto della CILA per accertare se il suo uso sia conforme all'intervento da realizzare; nondimeno, nel caso non risulti legittimo in quanto necessitante di un permesso di costruire o totalmente precluso dallo strumento urbanistico, la CILA non può né essere annullata, né inibita, con la conseguenza che il Comune può solo sanzionare l'intervento, una volta realizzato, o perché in assenza di titolo idoneo (il permesso di costruire) o perché in difformità rispetto al Piano”.
“In particolare”, aggiunge Palazzo Spada, “si è precisato come la natura essenzialmente privatistica della CILA non precluda all'Amministrazione di esercitare, quanto al suo oggetto, il proprio potere di controllo. Pur non sussistendo, in materia di SCIA, una disciplina che postula espressamente l'applicazione dei requisiti procedurali e sostanziali di cui all'art. 21 - nonies della L. n. 241 del 1990 (arg. ex art. 19, commi 3, 4 e 6-bis della L. n. 241 del 1990), atta a configurarne un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, restano, infatti, intatti i poteri di vigilanza contro gli abusi delineati in via generale dall'art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001. L'esercizio del potere consiste nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 21 - nonies della L. n. 241 del 1990, dell'inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell'adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi”.
“Secondo altro orientamento (Cons. Stato, Sez. II, 24 aprile 2023, n. 4110), la c.d. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) con il d.lgs. n. 222/2016 è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire ovvero che non rientrano ai sensi dell'art. 6 nell'attività edilizia libera. Con tale scelta si è radicalmente cambiata l'opzione normativa di cui al previgente comma 4 del richiamato art. 6 che, al contrario, lasciava aperta la categoria della SCIA e tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a CILA. A ciò è conseguito che sono ricondotte alla CILA anche opere quantitativamente rilevanti.
La CILA è uno strumento di semplificazione che non trova un corrispondente nella legge generale sull'azione amministrativa (ma solo in altre normative di settore, come quella sulle attività commerciali) e che si traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio di avviare un'attività in contrasto con le complesse e talvolta contorte normative di settore, per di più solo in parte confortato dall'asseverazione del tecnico abilitato.
Tuttavia, la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l'unico effetto di attirare l'attenzione dell'amministrazione sull'intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l'attività totalmente abusiva, che l'ordinamento correttamente esclude quando l'amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull'istanza di permesso.
Per tale ragione, sarebbe da preferire la ricostruzione che ha inteso mutuare in subiecta materia i principi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di SCIA o DIA., in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019.
Di esse, infatti, la CILA “condivide l'intima natura giuridica”, sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell'art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter della l. 7 agosto 1990, n. 241, in combinato disposto con il richiamo alle "condizioni" di cui all'art. 21-novies della medesima normativa”.
La posizione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 1651/2025
Nella sentenza n. 1651/2025 il Collegio “intende riaffermare l’orientamento espresso dalla Sezione e sopra richiamato, traendone la conclusione della impugnabilità degli atti, variamente adottati dagli enti locali sotto la qualificazione di declaratorie di irricevibilità ovvero archiviazione o simili delle comunicazioni di inizio lavori, che, seppur espressivi di poteri non tipizzati, non sussistendo alcuna previsione normativa che attribuisca e disciplini tali poteri, una volta esercitati devono ritenersi dotati dei caratteri della lesività.
Tanto più nei casi (quale quello in esame) di CILA propedeutica al c.d. Superbonus, disciplinato in particolare dall’art. 119, commi 13-ter ss. d.l. n. 34 del 2020, n. 34, istituto con riferimento al quale la non corrispondenza al vero delle asseverazioni rese dal tecnico abilitato (accertata ai sensi del comma 13-quater, secondo il quale «resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento») comporta la decadenza dai benefici fiscali”.
Illegittima la mancata attivazione del soccorso istruttorio
Una volta chiarita l’ammissibilità del ricorso, il Consiglio di Stato lo ha ritenuto “fondato sotto l’assorbente profilo della illegittima mancata attivazione del soccorso istruttorio.
Le irregolarità riscontrate dall’ente afferivano a carenze prettamente documentali (discrasie tra l’elaborato grafico a corredo della C.I.L.A. ed il titolo edilizio, anteriore al 1967 ma non rinvenuto dal Comune, adducendo, in contrario, il ricorrente la conformità dello stato dei luoghi – incluse le lievi difformità contestate, per lo più in riduzione rispetto quanto autorizzato – all’attività costruttiva posta in essere originariamente; espresso consenso del comproprietario) che si sarebbero potute superare attraverso l’attivazione del generale dovere di soccorso istruttorio contemplato dall’art. 6 della l. n. 241/1990”.
Il soccorso istruttorio, previsto dall'art. 6 l. n. 241/1990, “per pacifico principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di Stato sez. VII, 30/8/2023, n. 8083), costituisce un istituto generale del procedimento amministrativo e ha la sua massima applicazione al di fuori dei procedimenti di tipo comparativo.
L'istituto in questione è ispirato al principio secondo il quale l'autorità amministrativa deve assumere nei confronti del privato una condotta ispirata a buona fede e collaborazione, onde pervenire alla soddisfazione della comune esigenza alla compiuta definizione del procedimento amministrativo, nel rispetto dell'affidamento dei soggetti coinvolti dall'esercizio del potere, consentendosi all'istante di rimediare, anche nella fase partecipativa successiva al preavviso di rigetto, ad omissioni, inesattezze e irregolarità della documentazione amministrativa.
Laddove non emerga alcuna esigenza di parità di opportunità (ad esempio nell'ambito di una procedura comparativa) o necessità di accelerazione della procedura, il soccorso istruttorio, previsto dall'articolo 6, comma 1, lettera b), legge n. 241/1990, può essere utilmente invocato come parametro di legittimità dell'azione amministrativa”.
Non giustificata l'esclusione dell'applicazione del soccorso istruttorio
“Nel caso in questione”, conclude il Consiglio di Stato, “non emergono dagli atti del fascicolo (e nemmeno dalle difese delle parti) profili di necessità di accelerazione, tanto meno di tutela della par condicio con altri ipotetici soggetti tali da giustificare l'esclusione dell'applicazione dell'istituto alla fattispecie in questione.
E d’altra parte, i profili a base dell’atto impugnato appaiono astrattamente suscettibili di superamento mediante il coinvolgimento procedurale nei confronti dell'interessato che avrebbe potuto produrre documentazione atta a dimostrare la conformità dell’intervento”.