CNA, Confartigianato e Alleanza delle Cooperative hanno scritto una lettera al ministro dell'Interno, Marco Minniti, della Giustizia, Andrea Orlando e delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio per segnalare un'urgente e grave questione riguardante il movimento cooperativo e in particolare tutte le cooperative di lavoro e le imprese artigiane.
Nella lettera le tre associazioni segnalano l'estensione della verifica antimafia a tutti i consorziati che compongono la compagine sociale delle società di capitali (anche consortili), delle società cooperative, dei consorzi di cooperative (e di quelli di cui al libro V, titolo X, capo II, Sezione II del codice civile) oltre a confermarla per il legale rappresentante e i componenti dell’organo amministrativo.
L'estensione è stata inserita nel Codice Antimafia con l’ultimo passaggio in Aula al Senato della norma, senza una valutazione degli effetti dirompenti sul funzionamento dei consorzi cooperativi e anche di quelli artigiani, mettendone così a rischio la loro ordinaria attività.
Già nel corso della riforma della Legislazione Antimafia del 1990 l’articolo 7 della legge 55 aveva disposto la verifica su tutti i consorziati, anche allora senza tenere in debito conto le differenze tra le diverse tipologie di consorzi. La rapida introduzione di una modifica (articolo 20 del decreto-legge n. 152 del 1991) produsse la disciplina poi trasferita nel Codice e rimasta in vigore fino al sopra descritto intervento della legge 161/2017.
Venendo al merito della questione, occorre sottolineare che la compagine sociale dei consorzi cooperativi e artigiani è costituita da decine e decine di persone giuridiche (spesso si supera abbondantemente il centinaio) e, conseguentemente, in applicazione della nuova norma si dovrebbero acquisire le informazioni antimafia nei confronti di migliaia di persone fisiche.
La presentazione di tale documentazione in ogni gara di appalto da parte dei consorzi è praticamente impossibile oltre che sostanzialmente inutile.
A conforto della irrilevanza pratica di una tale verifica depongono le prescrizioni contenute nel nuovo codice appalti (D.lgs. n. 50/2016) il quale indica fra le cause che impediscono di contrarre con la pubblica amministrazione l’essere destinatari di misure interdittive ed estende tali verifiche (comma 2 dell’art. 80 del citato D.lgs. n. 50/2016 così come modificato dal D.lgs. n. 56/2017) anche ai soggetti cessati dalle cariche di quegli operatori economici che chiedono di contrarre con la P.A.
Si badi, però, solo a detti operatori economici e non a tutti i soggetti che costituiscono la compagine sociale di un consorzio.
L’irrilevanza dei controlli sui consorziati non indicati quali esecutori è confermata sempre dal codice appalti il quale prevede (art. 48 comma 17, applicabile anche ai consorzi di cooperative, stabili ed artigiani ex comma 7-bis dello stesso articolo, consentendo loro di sostituire il consorziato colpito da causa che impedisce di contrarre con la P.A.) che, nel caso in cui, anche qualora si tratti di realtà economiche plurisoggettive (quali ad esempio le associazioni temporanee di imprese), l’interdittiva colpisca un componente la compagine, sia possibile proseguire la commessa “semplicemente” sostituendo il componente colpito da interdittiva.
In buona sostanza così facendo – ovvero applicando il vigente sistema di controlli - è pienamente soddisfatta l’esigenza di impedire che soggetti non idonei ad assumere pubblici appalti contraggano con la pubblica amministrazione, senza compromettere che il consorzio di cooperative in possesso dei necessari requisiti possa legittimamente continuare a rivestire il ruolo di appaltatore (si veda in tal senso la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 3505/17).
Occorre inoltre tenere presente che il consorzio di cooperative non beneficia dei risultati economici derivanti dalla realizzazione della commessa acquisita ed assegnata ad un proprio consorziato per l’esecuzione. Infatti, tali risultati economici si realizzano solo ed esclusivamente in capo al consorziato esecutore (e neppure vi sono “a cascata” degli eventuali benefici a favore di tutti gli altri consorziati). Del resto, e giustamente, la normativa vigente prevede che anche nei confronti del consorziato indicato quale esecutore vengano espletate le verifiche antimafia.
Ad ulteriore comprova della circostanza che il Codice Antimafia abbia comunque avuto riguardo agli aspetti concreti conseguenti alla necessità di svolgere effettivamente le verifiche prescritte dalle norme, lo si ricava dalle prescrizioni contenute alla lettera c) dell’art. 85, laddove si prevede che per le società di capitali il controllo venga effettuato nei confronti del socio di maggioranza, qualora essa abbia un numero di soci pari ad inferiore a quattro. Ciò è logico se si pensa che, spesso, il capitale sociale di tali figure giuridiche è “polverizzato”. Tuttavia, se è vero che la polverizzazione del capitale sociale possa mitigare gli effetti di eventuali influenze illecite tali da far sì che il legislatore non abbia ritenuto opportuno estendere le verifiche a tutti i componenti la compagine (pur beneficiando essi dei risultati economici della società), a maggior ragione pare sproporzionato (ma soprattutto parrebbe inutile anche ai fini della norma approvata), verificare un consorziato di un consorzio di cooperative che non beneficia di alcun risultato economico, a meno che non sia il consorziato indicato come esecutore.
Nella lettera si sollecita un urgente intervento, anche in via interpretativa, per risolvere tale gravissima situazione che pregiudicherebbe l’attività di migliaia di imprese e dei loro lavoratori.