Con il parere 14 settembre 2016, n. 1920, il Consiglio di Stato si è pronunciato sullo schema di regolamento redatto dall’Autorità anticorruzione per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art. 211 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
Il regolamento in oggetto costituisce attuazione dell’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici, il quale stabilisce che: “Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 26 del codice del processo amministrativo.”
Il provvedimento sostituisce i regolamenti già approvati ai sensi dell’art. 6, comma 6, lett. n) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il vecchio Codice dei contratti pubblici, secondo cui l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – poi assorbita dall’ANAC – “su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione; si applica l’articolo 1, comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”.
La principale novità introdotta dal regolamento in esame risiede nella possibilità per le parti interessate di manifestare la volontà di uniformarsi al parere, con la conseguenza di renderlo vincolante, attraverso un duplice alternativo meccanismo:
- su istanza singola, qualora le altre parti esprimano il loro consenso entro dieci giorni dalla comunicazione dell’istanza;
- su istanza congiunta, nella quale sia stata espressa la volontà di attenersi al parere.
L’istruttoria dell’istanza è caratterizzata dalla massima celerità e dal metodo scritto, affinché la procedura possa concludersi entro trenta giorni dalla sua presentazione.
IL RAPPORTO TRA PRIMO E SECONDO COMMA DELL’ART. 211 DEL DECRETO LEGISLATIVO 18 APRILE 2016, N. 50. Il comma 2 attribuisce all’ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire in autotutela. Il potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione pecuniaria nei confronti del dirigente responsabile e dalla previsione della sua incidenza sulla reputazione delle stazioni appaltanti. Il rapporto naturale tra parere e raccomandazione è di alternatività, in guisa da dar luogo ad un sistema di tutela pre-processuale completo, attivabile su iniziativa di parte, o, in mancanza, d’ufficio. Tuttavia è possibile che le due procedure si intreccino, come si evince dallo stesso regolamento, che sancisce l’inammissibilità delle istanze di precontenzioso interferenti con esposti di vigilanza e procedimenti sanzionatori in corso di istruttoria presso l’Autorità. Né può escludersi che l’ANAC usi il potere di raccomandazione a seguito del precontenzioso. Il Consiglio di Stato, pertanto, ha ravvisato la necessità di una disciplina di regolamentazione della fattispecie, che delimiti i presupposti di esercizio del potere e individui le procedure su cui intervenire, anche alla luce del considerando n. 122 della direttiva UE 24/2014.
IL FONDAMENTO DEL POTERE REGOLAMENTARE DELL’ANAC, IN ASSENZA DI UN’ESPRESSA PREVISIONE DI LEGGE. Dopo un excursus di carattere generale sul potere regolamentare delle Autorità Indipendenti, in cui si sottolinea l’importanza della fase istruttoria e, in particolare, dell’intervento consultivo del Consiglio di Stato, la Commissione ha affrontato il problema dell’inquadramento del regolamento in esame, riconducendolo alla categoria dei regolamenti di organizzazione, essendo principalmente volto a disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa definita dalla fonte primaria. Ciò implica, da un lato, che non occorre evocare la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, esso trovando fondamento nel potere di auto-organizzazione dell’ANAC, dall’altro, che il regolamento incontra dei limiti legati alla sua incidenza sulle posizioni giuridiche degli interessati.
Tuttavia, deve essere attentamente considerato il carattere necessariamente subordinato della fonte regolamentare in esame e la sua possibile incidenza sul diritto di difesa delle parti che intendono attivare lo strumento di tutela.
LA DISTINZIONE DALLE LINEE GUIDA. Dopo aver richiamato le considerazioni già svolte in precedenti pareri sulla natura delle linee-guida, la Commissione speciale di Palazzo Spada ne evidenzia la tipica efficacia “esterna”, come si conviene ad uno strumento di soft law, la cui origine è nella comunità degli affari – cosmopolita e in perenne movimento, bisognosa di regole transnazionali che siano dotate al tempo stesso di flessibilità e effettività, sovente originate dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare – e promana da fonti (gli usi non normativi, i codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la lex mercatoria, le regolamentazioni delle Associazioni di categoria, etc.) che trovano fondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui destinatari. Per contro, il regolamento dell’ANAC resta ancorato al sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla base del valore formale dell’atto, ed ha la funzione di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione, non già regole di condotta per gli operatori.
LA NATURA GIURIDICA DEL PRECONTENZIOSO. Dopo aver agevolmente ricondotto il parere non vincolante alla moral suasion, con un quid pluris che lo avvicina ai responsa di romanisticaa memoria, la Commissione ha affrontato la complessa questione della qualificazione dogmatica del parere vincolante, o, più precisamente, della procedura da cui esita, inquadrandolo nelle ADR (Alternative Dispute Resolution), sia pure con indiscutibili tratti di specialità, poiché la procedura riposa sulla volontà delle parti, in base a un sistema binario, a seconda che vi sia o meno l’assenso all’efficacia vincolante del parere, e sfocia in un atto amministrativo che, quando ha efficacia vincolante, può essere impugnato in sede giurisdizionale.
Su tale profilo, il problema della giustificazione teorica dell’istituto all’interno del sistema amministrativo – dove vige il principio di indisponibilità dell’interesse legittimo e il conseguente divieto di arbitrato – si incrocia con quello del modello ad efficacia soggettiva variabile scelto dal regolamento, ed ancor prima dalla legge, per cui il parere è vincolante solo nei confronti delle parti che hanno aderito alla procedura.
La Commissione ha osservato che l’ancoraggio della vincolatività del parere al consenso delle parti è necessario se si vuole mantenere la distanza dai mezzi processuali, essendo la caratteristica principale delle tecniche di risoluzione alternativa delle controversie. È ben vero che le ADR attengono a diritti disponibili, ma tale principio appare insuperabile solo nell’ambito dei mezzi non aggiudicativi, come la mediazione o la negoziazione assistita, che hanno una connotazione marcatamente privatistica, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Nell’ipotesi in esame, invece, la procedura è svolta e decisa da un organo pubblico, che appartiene al novero delle Autorità indipendenti di settore, come AGCM, cui sono riconosciute funzioni non lontane dalla giurisdizione. Il pericolo, allora, è proprio quello di una processualizzazione dell’istituto, contraria alla sua ratio, che la Commissione suggerisce di evitare indicando una serie di specifici correttivi.
LE RESIDUE CRITICITÀ. Il Consiglio di Stato individua quattro aree di criticità della procedura costruita dal regolamento, in larga misura dipendenti dal modello previsto dalla fonte primaria.
In primo luogo, una volta sancita l’impugnabilità del parere, non sembra più necessario subordinare l’efficacia vincolante al previo consenso delle parti. Nell’ordinamento, quando è previsto il ricorso (facoltativo) ad Autorità indipendenti, l’efficacia vincolante della decisione non è subordinata al previo consenso delle parti (si pensi al ricorso al difensore civico o alla commissione per l’accesso), ma tale soluzione non è perseguibile de iure condito.
In secondo luogo, l’efficacia soggettiva variabile compromette, se non l’effetto di deflazione, la linearità del sistema. Si pensi al caso della stazione appaltante che, sottoposta all’efficacia vincolante del parere, decida di adeguarsi ad esso. La parte che non è sottoposta alla forza vincolante del parere potrà limitarsi a dedurne l’inefficacia nei suoi confronti, con la conseguenza che – se sfavorevole – non sarà tenuta per tutelarsi a impugnarlo o a partecipare al giudizio da altri instaurato. Tuttavia, resterà pur sempre pregiudicata dal provvedimento adottato sulla base di tale parere, ragion per cui dovrà impugnarlo, ciò dando luogo a un problematico rapporto tra i due giudizi.
In terzo luogo, il parallelismo con l’arbitrato evidenzia un’aporia nella natura consensuale del meccanismo: in ambito civilistico, la struttura contrattuale del compromesso e dalla clausola compromissoria fa sì che non è revocabile l’assenso; nell’istituto in esame, invece, il carattere unilaterale del vincolo fa pensare alla possibilità di un ripensamento della parte stessa.
In quarto luogo, si pone il problema di individuare la disciplina applicabile al procedimento (termini, rapporti con la tutela giurisdizionale, inammissibilità e improcedibilità, revocazione, etc.) laddove non espressamente prevista.
Su questi punti occorre un espresso intervento normativo, anche in via legislativa.