Lo Studio Albonet ha presentato alla Commissione europea una denuncia, per violazione del diritto dell'Ue, in merito all'art. 63 comma 10 del d.lgs. 36/2023 (nuovo Codice Appalti).
Con il Decreto Legislativo n. 36 del 31 marzo 2023 il Governo italiano ha approvato il nuovo “Codice dei contratti pubblici” (in seguito “Codice”). Il progetto di riforma nasce con la Legge 21 giugno 2022 n. 78 recante la “delega al Governo in materia di contratti pubblici”, pubblicata nella G.U. del 24 giugno 2022. L’obiettivo della delega, come riportato dal dossier della Camera dei deputati, è “di adeguare la disciplina dei contratti pubblici a quella del diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nonché al fine di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate”. Inoltre, come riportato anche nella relazione illustrativa al Codice predisposta dal Consiglio di Stato, la riforma costituisce uno specifico obiettivo previsto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). L’iter legislativo si è concluso con il D.Lgs. n. 36/2023, pubblicato sulla Gazzetta della Repubblica italiana n. 77 del 31 marzo 2023, che ha adottato il nuovo Codice dei contratti pubblici, entrato in vigore il 1° aprile 2023.
Sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti
L'articolo 63 disciplina il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, istituendo un apposito elenco, presso l'ANAC, delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte, in una specifica sezione, anche le centrali di committenza, ivi compresi i soggetti aggregatori. L’elenco è soggetto a periodici aggiornamenti ed è gestito dall’ANAC, che ne stabilisce altresì le modalità attuative.
Ogni stazione appaltante o centrale di committenza può effettuare le procedure corrispondenti al livello di qualificazione posseduto e a quelli inferiori.
I requisiti di qualificazione per la progettazione e l’affidamento sono disciplinati dall’allegato II.4 del Codice e attengono, tra l’altro “alla consistenza, esperienza e competenza delle risorse umane, ivi incluso il sistema di reclutamento e la adeguata formazione del personale”.
Il comma 10 dell’art. 63 prevede, in relazione al predetto parametro della adeguata formazione del personale delle stazioni appaltanti, che la Scuola Nazionale dell'Amministrazione debba definire i requisiti per l'accreditamento delle istituzioni pubbliche o private, senza finalità di lucro, che svolgono attività formative, procedendo alla verifica, anche a campione, della sussistenza dei requisiti stessi, provvedendo alle conseguenti attività di accreditamento nonché alla revoca dello stesso nei casi di accertata carenza dei requisiti.
La citata disposizione normativa sembra sancire che:
- soltanto i soggetti in possesso del relativo accreditamento possano svolgere l’attività formativa utile ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti;
- solamente le istituzioni pubbliche o private, senza finalità di lucro, possano ottenere l’accreditamento.
Peraltro, la norma demanda alla Scuola Nazionale dell'Amministrazione la definizione dei requisiti per l’accreditamento, nonché le attività di verifica della sussistenza dei requisiti stessi.
Ebbene, secondo lo Studio Albonet la disposizione pare del tutto illegittima e contraria al diritto comunitario per i seguenti motivi.
1) Sulla previsione di un sistema di accreditamento per la formazione utile ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti.
Si deve premettere che i servizi di formazione in materia di appalti costituiscono una prestazione che non è riservata ad una professione specifica e viene svolta sul mercato da numerosi enti, pubblici e privati, i quali, con la loro professionalità e competenza e in concorrenza tra di loro, garantiscono un’articolata offerta formativa, volta a rispondere alle esigenze dei numerosi enti pubblici che operano in questo settore.
Si dubita, innanzitutto, che l’art. 63 comma 10 d.lgs. 36/2023 sia legittimo nella parte in cui dispone che solamente i soggetti in possesso dell’accreditamento ivi previsto possano svolgere l’attività di formazione utile ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti.
L’accesso ad un’attività o il suo esercizio, può essere limitato da requisiti imposti dalla normativa nazionale, ma a condizione che tali requisiti siano non discriminatori, giustificati obiettivamente da motivi imperativi di interesse generale e proporzionati, altrimenti tali requisiti devono essere soppressi o modificati (punto 69 e art. 15 direttiva n. 2006/123/CE).
Secondo i principi dettati a livello comunitario - fatte salve le disposizioni istitutive e relative ad ordini, collegi e albi professionali - i regimi autorizzatori o sistemi di accreditamento possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, come, ad esempio, la tutela dei consumatori, la protezione dell'ambiente, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica nonché la necessità di rispettare il diritto del lavoro.
Non pare che la limitazione prevista dal citato art. 63 risponda ad un interesse generale meritevole di tutela, anche in considerazione del fatto che la norma di per sé fissa unicamente il requisito dell’assenza del fine di lucro, rimettendo la definizione degli ulteriori requisiti alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Ebbene, secondo quanto sancito dalla direttiva n. 2006/123/CE e dagli art. 49 e 56 TFUE, l’attività di formazione in materia di appalti deve poter essere esercitata liberamente, in modo da garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed assicurare il corretto ed uniforme funzionamento del mercato.
2) Sulla previsione che l’accreditamento venga riconosciuto unicamente a soggetti “senza finalità di lucro”
La norma, inoltre, pare irragionevole e lesiva del principio di non discriminazione nella parte in cui sancisce che solamente le istituzioni senza finalità di lucro, pubbliche o private, possano ottenere l’accreditamento per lo svolgimento dell’attività in questione.
La Corte ha già riconosciuto, almeno implicitamente, in contesti come quelli del diritto della concorrenza (v. sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hoefner e Elser, Racc. pag. I-1979) o del diritto sociale (v., precisamente, per l'applicazione della direttiva, la citata sentenza Redmond Stichting), che un ente, anche se non persegue fini di lucro, può esercitare un'attività economica ed essere considerato come un'"impresa" per l'applicazione delle norme del diritto comunitario.
L'assenza di carattere lucrativo dell'attività esercitata da un'impresa infatti non è idonea, di per sé, a privare detta attività del suo carattere economico, né a far escludere l'impresa dall'ambito d'applicazione delle disposizioni in materia di concorrenza laddove esercita tale attività economica.
È lo stesso legislatore comunitario, infatti, ad aver precisato che la nozione di operatore economico dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. (Considerando n. 14 della direttiva 2014/24/UE).
Se quindi tutti gli operatori nel mercato devono essere trattati su un piano di parità e in modo non discriminatorio (art. 18 Direttiva 2014/24/UE), non pare legittimo e ragionevole che solo una parte di essi possa svolgere determinate attività economiche, come la formazione ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti.
Peraltro, il fatto che solo i soggetti “senza fine di lucro” possano accreditarsi per tale tipo di attività, determina una loro irragionevole posizione dominante e di vantaggio non solo nel mercato relativo alla formazione ai fini della qualificazione, ma anche nel mercato relativo a tutti i servizi di formazione, in quanto l’accreditamento per una determinata attività, indirettamente, promuove la domanda anche di servizi complementari e accessori nonché la domanda di servizi di formazione anche da parte di soggetti diversi dalle stazioni appaltanti. Tali soggetti, infatti, qualificandosi come operatori economici, possono partecipare a tutte le procedure ad evidenza pubblica per qualsivoglia attività di formazione e consulenza a favore delle stazioni appaltanti, nonché offrire le loro prestazioni nel mercato, godendo tuttavia di maggior preferenza e credibilità rispetto agli altri operatori economici non in possesso del medesimo accreditamento.
Non solo, la conseguenza di un simile sistema è la riduzione della qualità ed economicità dei servizi resi, posto che una maggiore competitività nel mercato dei servizi è essenziale per promuovere un continuo miglioramento dell’offerta.
3) Sull’affidamento delle attività di accreditamento alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
L’art. 63 comma 10 del d.lgs. 36/2023 sembra riservare l’attività formativa in materia di appalti, da erogarsi a favore degli enti pubblici, ai soggetti in possesso di uno specifico accreditamento rilasciato dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Senonché la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è essa stessa un ente che eroga attività formativa, tra l’altro in materia di appalti.
È quindi chiara l’irragionevolezza della norma, che demanda ad un soggetto operante nel settore, il compito di definire i requisiti per lo svolgimento di una attività che esso stesso svolge.
Conferire una simile competenza alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione viola l’articolo 56 TFUE, relativo alla libera prestazione dei servizi, l’articolo 102 TFUE, relativo al principio di libera concorrenza, e i principi di uguaglianza e non discriminazione, sanciti dagli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’attività di accreditamento costituisce una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri che, se affidata ad un soggetto operante nel settore da controllare, determina una disparità non giustificata. L’eventuale accreditamento dovrebbe infatti, nel rispetto dei principi comunitari, essere un compito attribuito ad un soggetto in grado di salvaguardare l'obiettività e l'imparzialità delle sue attività, ovvero un soggetto in posizione di indipendenza e non in palese conflitto di interessi.
Infatti, ai sensi dell’articolo 102, paragrafo 1, TFUE, è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. E si tenga conto che la nozione di impresa comprende qualsiasi entità che svolge un’attività economica, e che costituisce attività economica ogni attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (sentenza del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig-Halle/Commissione, C-288/11 P, EU:C:2012:821, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).