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Committenti UK: architetti, troppe lacune di tipo tecnico!

Gli architetti non sono in grado di seguire un progetto dalle fasi iniziali a quelle di messa in esercizio, perché non hanno le giuste competenze tecniche. I risultati dello studio condotto dal RIBA

martedì 8 settembre 2015 - Erika Seghetti

archi

In un mondo che sta evolvendo sempre più in una logica multitasking, l'architetto sembra avere qualche difficoltà a stare al passo. Perlomeno, questa è l'idea che hanno i committenti, che accusano i professionisti di non essere in grado (o meglio, di non volere) di seguire un progetto dall'inizio alla fine, ovvero dalla prima fase concettuale di progettazione a quella finale di messa in esercizio. 

L'evidenza emerge da uno studio- i cui risultati verranno resi noti nella loro completezza a fine mese, condotto da RIBA (Royal Institute of British Architects), che è il risultato di un progetto di due anni guidato dal presidente uscente Stephen Hodder e che ha coinvolto un centinaio di clienti provenienti da settori diversi in interviste one-to-one e tavole rotonde.

Architetti tecnici vs architetti concettuali

Le conclusioni a cui il  rapporto “Client & Architect: Developing the essential relationship” arriva è che c'è una generale insoddisfazione da parte dei clienti, sopratutto degli appaltatori, nei confronti degli architetti, che hanno delle competenze ritenute 'a compartimento stagno'. Da un lato ci sono quelli 'concettuali' che si interessano solo dell'ideazione del progetto e dall'altro quelli 'tecnici', che seguono invece la parte- non meno importante- legata alla messa in opera e al funzionamento del sistema-edificio. Una rigidità ritenuta negativa anche da un punto di vista di esborso economico, perché, come si legge nel report, i committenti, dopo aver pagato (profumatamente) l'architetto affidatario del progetto, sono costretti ad affidarsi ad altri esperti per la verifica di tutti gli aspetti tecnici in fase operativa.

Da cosa dipende questa mancanza di competenze tecniche?

Le motivazioni di questo spartiacque nel panorama della progettazione sono molteplici. E vanno da uno 'snobbismo' che in molti casi caratterizza la professione dell'architetto, che ritiene non di sua competenza l'essere costretto a 'sporcarsi le mani' con aspetti tecnici ed ingegneristici. Ad un timore di verificare che, nel passaggio alla pratica, molte idee teoriche possono risultare fallimentari. “Per molti professionisti è un rischio inaccettabile- ha commentato Sean Cook, design director della società di promozione immobiliare Clivedale London- quello di rendersi conto che l'estro creativo non abbia nessuna rispondenza in termini di efficienza ed esattezza.”
E infine, ad una mancanza effettiva di competenze. Dettata sia da una formazione accademica carente sia- e questo è un circolo vizioso- da una carenza di esperienza sul campo. “Non credo che un architetto- commenta polemicamente Andrew Barraclough, direttore del colosso delle costruzioni Wates-  possa lavorare in modo efficace se non vede il suo lavoro ultimato. Come può imparare dagli errori commessi?”

Sul fronte invece della formazione, secondo Stuart Lipton, uno degli sviluppatori immobiliari britannici con la maggiore esperienza, sarebbe necessaria una revisione del corso di laurea in Archiettura. Che a suo avviso è eccessivamente improntato sugli aspetti teorici e poco su quelli pratici e tecnici, indispensabili per occuparsi di costruzioni. 

Cogliere le opportunità per rivalutare la professionalità

Insomma, dallo studio RIBA emergono molte critiche e anche molti spunti sui quali riflettere. Hodder, nella prefazione del documento, ha dichiarato che è necessario 'ritrovare le chiavi per aprire i cuori e le menti dei clienti. Abbiamo bisogno di cogliere le opportunità per rafforzare la percezione del nostro valore.”
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