Secondo il dossier Ecosistema Rischio 2016, presentato oggi a Roma da Legambiente, in ben 1.074 comuni (il 77% del totale) sono presenti abitazioni in aree a rischio. Nel 31% sono presenti addirittura interi quartieri e nel 51% dei casi sorgono impianti industriali. Nel 18% dei Comuni intervistati, nelle aree golenali o a rischio frana sono presenti strutture sensibili come scuole o ospedali e nel 25% strutture commerciali.
L’indagine sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico è stata realizzata sulla base delle risposte fornite dalle amministrazioni locali al questionario inviato ai Comuni in cui sono state perimetrale aree a rischio idrogeologico. I dati si riferiscono quindi ai 1.444 Comuni che hanno risposto al questionario di Legambiente.
L’urbanizzazione delle aree a rischio non è solo un fenomeno del passato: nel 10% dei Comuni intervistati sono stati realizzati edifici in aree a rischio anche nell’ultimo decennio. Solo il 4% delle amministrazioni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1% di insediamenti industriali. In ritardo anche le attività finalizzate all’informazione dei cittadini sul rischio e i comportamenti da adottare in caso di emergenza: l’84% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% dei Comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini.
LA STRATEGIA DI ITALIA SICURA. “Un solo centro e una sola periferia”: è questa in estrema sintesi la strategia di #italiasicura nell'intervento del responsabile della Struttura di missione Mauro Grassi alla presentazione del rapporto di Legambiente. “Il fatto che negli ultimi 10 anni nel 10% dei comuni italiani si è continuato ad urbanizzare come ha documentato l’indagine di Legambiente - ha detto Mauro Grassi - è la prova che ancora c’è molto lavoro da fare per raggiungere la crescita culturale necessaria al nostro paese per avere la consapevolezza che la migliore azione di prevenzione del rischio idrogeologico è l’evitare di costruire dove c’è la possibilità che quel territorio possa essere inondato da un’alluvione o sepolto da una frana. Ben venga, quindi, la legge sulla tutela del suolo in modo da ridurne al massimo il consumo”.
“Un solo centro e una sola periferia - ha spiegato Grassi - significa puntare ad una maggiore efficienza di sistema che passa attraverso il massimo coordinamento delle iniziative dirette alla riduzione del rischio idrogeologico. Coordinamento che a livello centrale c’è ed è sotto gli occhi di tutti per il lavoro condiviso che noi, Ministero dell’ambiente, Ministero infrastrutture, Dipartimento e Agenzia per la coesione, protezione civile nazionale, Ispra e autorità di bacino abbiamo realizzato e che ha trovato la sua migliore sintesi nel piano città metropolitane. Un obiettivo che deve essere trasposto anche sul territorio dove grazia al al lavoro dei presidenti di Regione, commissari di governo, insieme a comuni e altri enti e soggetti territoriali si deve riuscire a fare fronte comune nelle politiche per la riduzione del rischio idrogeologico”.
"Non è possibile che ancora oggi – ha continuato Grassi – ci siano comuni che pensano di poter effettuare lavori per la gestione di un fiume che passa nel territorio di loro competenza, senza pensare alle conseguenze che quell'opera ha nelle zone più a valle o anche più a monte. E’ indispensabile avere dei riferimenti tecnici capaci di stabilire la bontà dell'intervento nel complesso delle iniziative mirate ad evitare che un fiume rappresenti un rischio e non una risorsa come dovrebbe essere. E’ per questo che dobbiamo dare centralità alla definizione delle strategie d'intervento e la stessa centralità - ha concluso Grassi - deve esserci sul territorio, iniziando dalla capacità di rispettare le decisioni delle autorità di distretto e di Ispra come indispensabili interlocutori tecnici sul tema del dissesto idrogeologico”.
ANCI: “DA LEGAMBIENTE DATI NOTI MA PASSI AVANTI SONO STATI FATTI, ORA PROSEGUIRE”. “L’indagine sul dissesto idrogeologico presentata oggi da Legambiente non fa che confermare una situazione già ben a conoscenza dei Sindaci, che da anni chiedono rafforzamento delle risorse, semplificazione normativa e competenze adeguate per intervenire in modo sempre più efficace”, ha dichiarato il delegato Anci all’Ambiente, Bruno Valentini, intervenuto nel corso del convegno.
“Confermiamo tutta la nostra disponibilità – ha aggiunto Valentini - per potenziare le campagne di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini, sulle quali c’è però da dire che troppe volte i sindaci finiscono per trovarsi soli. Allo stesso tempo, però, non possiamo non far notare che sul fronte delle politiche degli enti locali alcuni passi avanti importanti sono stati fatti: la pianificazione urbanistica è molto più attenta, si estende la collaborazione con il volontariato sulla protezione civile, sta migliorando anche la manutenzione dei corsi d’acqua. Su quest’ultimo aspetto, in particolare, è necessario ora valorizzare le potenzialità dei consorzi di bonifica, disboscando gli appesantimenti amministrativi e burocratici”.
“Concordo con il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio – ha proseguito il delegato Anci - quando sollecita l’intero sistema pubblico, Regioni comprese, a stare al fianco dei Sindaci, che sono il presidio primario del territorio, l’ente a cui si rivolge in prima battuta la popolazione che vuole essere informata o aiutata”.
Quindi Valentini ha ricordato che “in questi anni, nonostante la riduzione progressiva di risorse e di personale, i Comuni non sono venuti meno al loro impegno per sistemare un territorio che per sua natura è molto esposto al rischio di frane, alluvioni e smottamenti. Tuttavia – ha ribadito il rappresentante dell'Associazione nazionale dei comuni - l’indagine di Legambiente evidenzia che sono ancora molto diffuse situazioni di precarietà o di mancata consapevolezza sui Piani locali di protezione civile. Per questo Anci, insieme al dipartimento nazionale di Protezione civile, sta cercando di accelerare l’estensione e l’aggiornamento dei Piani. Poiché è evidente che spendere in prevenzione impegna meno risorse di quante ne servano a calamità avvenuta, va fatto ogni sforzo affinché la pianificazione urbanistica tenga conto dei rischi idrogeologici, arrivando anche dove è necessario a delocalizzare quanto è stato edificato erroneamente nel passato”.
Al contempo, il delegato Anci ha espresso “apprezzamento per l’avvio delle attività della struttura di missione della Presidenza del Consiglio Italia Sicura: la programmazione degli interventi strutturali di difesa del suolo, adesso e dopo diversi anni di stallo, ha avuto organicità e scale di priorità. Confidiamo – ha concluso Valentini – in un costante aggiornamento sull’avanzamento dei lavori e sulla programmazione dei prossimi interventi, sia sulle aree metropolitane che sul resto del territorio nazionale”.