Il gravame ha ad oggetto la legittimità del provvedimento di rigetto adottato dal Comune di Roma Capitale sulla istanza di condono edilizio ex legge 326/2003 e legge regionale 12/2004, relativa a un ampliamento di mq 19,00 di s.u.r. sul terrazzo di pertinenza dell’immobile di proprietà del ricorrente.
Prima della presentazione dell’istanza di condono da parte del precedente locatario dell’immobile, l’opera era stata sottoposta a sequestro penale dalla Polizia Municipale che, in seguito a un sopralluogo del 12 ottobre 2003, aveva constatato “al piano terzo (lastrico solare) dello stabile sottoindicato, e precisamente sul terrazzo di pertinenza dell’appartamento contraddistinto con int. 9 ed in adiacenza al muro perimetrale con altra proprietà”, la “realizzazione di un manufatto in blocchi di siporex di circa mq. 20 (5 x 3.90) la cui copertura in legno e orditura dello stesso materiale è posta a m 2,75 del piano di calpestio e nel cui interno sono state edificate tramezzature…” (così nel verbale di constatazione dell’illecito edilizio del 13 ottobre 2003).
In data 9 febbraio 2004 veniva quindi presentata l’istanza di condono e in data 24 novembre 2015 veniva comunicato all’odierno ricorrente il preavviso di rigetto per mancato completamento delle opere entro il 31 marzo 2003.
Con la sentenza n. 4113/2024 pubblicata il 1 marzo, il Tar Lazio (Sezione Quarta Ter) ha accolto il ricorso.
Due criteri alternativi per la verifica del requisito dell'ultimazione
“Ai sensi dell'art. 32, comma 25, l. n. 326/03 il condono edilizio è consentito per le opere abusive che «risultino ultimate entro il 31 marzo 2003»”, ricorda il Tar Roma.
“Il concetto di ultimazione è specificato nell'art. 31, comma 2, l. n. 47/1985 (i cui principi debbono ritenersi valevoli anche per la disciplina dei condoni successivi), laddove si precisa che, «ai fini delle disposizioni di cui al comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, esse siano state completate funzionalmente».
La disposizione in commento prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell'ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio "strutturale", che vale nei casi di nuova costruzione (quale quella oggetto del presente giudizio), e del criterio "funzionale", che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale.
Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici "ultimati", si intendono, per costante giurisprudenza, quelli completi almeno al "rustico", espressione con la quale si rappresenta un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili.
La giurisprudenza ha altresì chiarito che, se sono necessarie le tamponature esterne, a maggior ragione diventa essenziale l'esistenza di una copertura che ha, dal punto di vista della sagoma e del volume, la funzione di definire le dimensioni dell'intervento realizzato e, dal punto di vista costruttivo, lo scopo di rendere conto della compiutezza della realizzazione stessa. In tal senso vanno lette le affermazioni della giurisprudenza che evidenzia come la copertura debba essere in materiale non precario ed idoneo ad una rifinitura finale con interventi minimi”, osserva la sentenza.
Il caso di specie
Secondo il Tar Lazio “L’orientamento giurisprudenziale in ultimo richiamato appare rilevante nel caso di specie, considerato che nel già menzionato verbale di sopralluogo del 13 ottobre 2003 si fa riferimento a una “copertura in legno e orditura dello stesso materiale”, salvo poi specificare, nelle annotazioni, che l’opera si presenta in corso di costruzione e la copertura parzialmente eseguita.
Tale apparente discrasia non può che spiegarsi ritenendo che in realtà la copertura, pur necessitando di opere di rifinitura, era già stata realizzata e consentiva di apprezzare le dimensioni dell’intervento realizzato.
Una simile conclusione è corroborata dalla circostanza che all’interno del manufatto erano già state edificate tramezzature al fine di realizzare un vano di circa mq 4.50, ovvero un’opera di suddivisione interna del locale che presuppone l’avvenuta realizzazione del tetto.
Lo stesso Ufficio di Coordinamento della U.O. Condoni di Roma Capitale, con la nota prot. n. 157668/2014 (ad oggetto: “Specificità collegata alla definizione di opere ultimate articolo 31 ex Lege 47/85”), aveva affermato il principio secondo il quale “si ritengono condonabili manufatti la cui copertura attuata, o parzialmente attuata, sia estesa per tutta l’area del manufatto indipendentemente dalla natura dei materiali impiegati purché sia individuabile il volume sotteso ad essa”.
A tale principio si era del resto ispirata l’Amministrazione accogliendo le osservazioni dell’istante, salvo poi modificare le proprie determinazioni, nonostante non fossero emerse sopravvenienze istruttorie.
Detto ulteriore segmento dell’attività procedimentale, tra l’altro, è avvenuto senza garantire alcuna forma di contraddittorio con l’interessato, il quale solo in questa sede è venuto a conoscenza della nota con cui l’ufficio istruttore di Risorse per Roma Spa aveva mutato indirizzo.
Sotto tale profilo, dunque, va evidenziata l’evidente contraddittorietà della motivazione posta a fondamento del provvedimento di rigetto e la fondatezza anche di tale motivo di censura”, concludono i giudici amministrativi regionali di Roma.