Sentenze

Condono edilizio in Campania, via libera dalla Corte costituzionale

I Comuni potranno dare l'ok a tutte le richieste di condono relative agli anni in questione per gli abusi realizzati al di fuori delle aree sottoposte a vincoli di inedificabilità assoluta, per un totale di 300mila pratiche

lunedì 6 luglio 2015 - Redazione Build News

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Con la sentenza n. 117/2015 depositata il 25 giugno, la Corte costituzionale ha respinto il ricorso del governo Renzi contro la norma in materia di condono edilizio contenuta nella legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante “Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo – collegato alla legge di stabilità regionale 2014”.  

L’art. 1, comma 72, della predetta legge regionale modifica l’art. 9 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni), che disciplina le domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

PROROGA AL 31 DICEMBRE 2015 IL TERMINE ASSEGNATO AI COMUNI PER DEFINIRE LE DOMANDE DI CONDONO ANCORA PENDENTI. L’art. 1, comma 72, lettera a), in particolare, proroga al 31 dicembre 2015 il termine assegnato ai Comuni per definire le domande di condono ancora pendenti.

Il Governo ha denunciato la violazione degli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, affermando che la norma impugnata permette irragionevolmente di «integrare» e «modificare» le domande di condono e allarga l’area della sanatoria in danno dei valori ambientali.

Secondo la Consulta, invece, la questione non è fondata, perché si basa su un erroneo presupposto interpretativo, in quanto “la disposizione censurata si limita a formulare un termine sollecitatorio entro cui i Comuni debbono definire le domande pendenti, ma in nessun modo consente che queste ultime siano modificate o integrate. In particolare, il termine indicato dall’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 10 del 2004 per inoltrare la documentazione è oramai spirato e non viene riaperto per effetto della disposizione impugnata”.

CONDONO NON AMMESSO PER GLI ABUSI EDILIZI REALIZZATI SU AREE SOTTOPOSTE AI VINCOLI CHE COMPORTANO L’INEDIFICABILITÀ ASSOLUTA. L’art. 1, comma 72, lettera b), della legge impugnata modifica il comma 5 dell’art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004, nel senso che il condono non è ammesso per gli abusi edilizi realizzati su aree del territorio regionale sottoposte ai vincoli di cui all’art. 33 della legge n. 47 del 1985, «solo ed esclusivamente se i predetti vincoli comportano l’inedificabilità assoluta delle aree su cui insistono e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse».

Il Governo ha lamentato che in tal modo è stata ampliata l’area del condono, sia ammettendo la sanatoria in caso di inedificabilità meramente relativa, sia escludendo la rilevanza dei vincoli sopravvenuti all’abuso, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Con riguardo al solo vincolo idrogeologico, viene dedotta anche la lesione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, poiché si ammetterebbe la sanatoria di opere eseguite «in zone a “rischio idraulico”», ovvero in zone indicate dai piani di bacino come potenzialmente soggette ad esondazioni d’acqua, ed eventualmente vincolate, o soggette a misure di salvaguardia in attesa del vincolo.

Anche su questo punto la Corte costituzionale ritiene le questioni non fondate. “È pacifico – osserva la Consulta - che non spetta alla legge regionale allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato (sentenza n. 196 del 2004).

Nel caso di specie, la norma impugnata va perciò posta a raffronto con l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che esclude la sanatoria di opere in contrasto con vincoli che comportino l’inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse.

Quanto alla natura di tale inedificabilità, costituisce diritto vivente che, nell’ambito dei condoni aperti con le leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, essa rileva, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, soltanto se di carattere assoluto (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 7 giugno-22 luglio 1999, n. 20), posto che gli effetti del vincolo di inedificabilità relativa sono regolati, entro tale contesto normativo, dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

Diverso è il caso del cosiddetto terzo condono, di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione al quale” la Consulta “ha già rilevato che il suo oggetto è «più circoscritto» (sentenza n. 225 del 2012), così da attribuire carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta (sentenze n. 290 e n. 54 del 2009; ordinanza n. 150 del 2009)”.

La Corte costituzionale evidenzia che “l’art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004, e perciò la norma impugnata che lo ha modificato, non ha per oggetto il cosiddetto terzo condono, ma esclusivamente i precedenti, di cui intende sollecitare la definizione. Ne consegue che la disposizione censurata, inapplicabile alle domande presentate ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, si limita a recepire quanto previsto dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, con riguardo al carattere assoluto della inedificabilità.

Analoga conclusione va tratta con riferimento alla porzione della norma impugnata che attribuisce rilievo ai soli vincoli imposti prima dell’esecuzione delle opere, con formula lessicale identica a quella contenuta nell’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

La piena coincidenza del portato normativo della norma impugnata con quello dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 rende non fondata – conclude la Consulta - anche la questione concernente il rispetto del vincolo idrogeologico, la cui osservanza è parimenti assicurata dalla disposizione censurata e dalla normativa statale di riferimento”.

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