Il rapporto/indagine Confcommercio-Censis Outlook 2024, presentato ieri a Roma, fotografa un’economia italiana tutto sommato ancora in salute, ma cominciano a pesare l’incertezza e un po’ di paura dovuti principalmente agli shock esogeni che hanno minato la fiducia delle famiglie.
Sembra ormai un lontano ricordo quello del marzo 2020 dovuto alla pandemia da Covid-19, ma nel frattempo ne sono sopraggiunti di nuovi altrettanto gravi a cominciare dall’invasione russa in Ucraina (marzo 2022) e poi l’attacco di Hamas in Israele (ottobre 2023) e successiva guerra a Gaza che hanno contributo non poco a rimescolare le carte, cioè a creare incertezza, instabilità. Una situazione che induce potenzialmente famiglie e imprenditori a ridurre consumi e investimenti rispetto a uno scenario di maggiore serenità.
Nel rapporto, giunto alla 18esima edizione e curato da Mariano Bella dell’Ufficio Studi di Confcommercio, come di consueto due degli indicatori
presi in esame sono rappresentati dal reddito disponibile e dai consumi pro capite. Guardando al grafico per entrambi dopo il calo del 2020 con valori scesi a 21.924 euro (reddito disponibile pro capite) e 18.507 euro (consumi pro capite) vi è stata una marcata ripresa fino al 2023, rispettivamente 22.267 e 20.864 euro, pur senza battere i record della serie storica. Le stime per il 2024 dovrebbero i valori dovrebbero assestarsi a 22.571 e 21.048 euro. Quindi, nel 2024 si prevede, sempre in termini reali, una crescita del reddito disponibile dell’1,4% e dei consumi attorno allo 0,9%, a testimonianza di una visione dal parte di Confcommercio–Censis complessivamente positiva della salute della nostra economia.
La spina nel fianco del calo demografico
Tuttavia, il problema principale evidenziato nell'analisi Confcommercio-Censis è la riduzione della fiducia. Secondo Bella “riguarda soprattutto i giovani e le persone dentro il mercato del lavoro, dato dal quale emerge un senso di insicurezza che contrasta con i numeri positivi sull'occupazione. Sia i giovani che i meno giovani indicano proprio nelle giovani generazioni i soggetti maggiormente fragili, dal punto di vista socio-economico e occupazionale. L'aspetto più rilevante, e anche più inquietante, è che praticamente nessun giovane vede gli anziani come sezione di popolazione più in difficoltà. Solo il 3,3% dei giovani tra i 18 e i 35 anni pensa infatti che la classe d'età degli anziani sia attualmente maggiormente penalizzata”.
Quanto al tema del declino demografico, "tutti, soprattutto i giovani, e con scarto significativo, sono preoccupati della dimensione economica del fare famiglia e fare figli, pertanto al di là delle complesse ragioni socio-demografiche è la questione del reddito da lavoro e delle condizioni economiche, tra cui l'edilizia abitativa, a comprimere la propensione a fare famiglia". Il 56,3% dei giovani tra i 18 e i 35 anni spiega infatti che il motivo principale per cui in Italia si fanno pochi figli è la difficoltà di trovare una occupazione stabile e un'abitazione dignitosa.
La strada percorribile
E di fronte a un scenario incertezza sul futuro che rallenta investimenti e consumi è lo stesso Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio Imprese per L'Italia, della Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi e di Unioncamere a indicare una strada percorribile: “serve soprattutto un taglio di mezzo punto dei tassi di interesse da parte della Bce e accelerare l’attuazione della riforma fiscale”. Intanto la Banca centrale svizzera ha abbassato i tassi il mese scorso, oggi lo ha annunciato la Banca centrale svedese, a giugno si attende la Bce.