Con la sentenza n. 4450/2015 depositata il 23 settembre, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha ribadito il principio consolidato secondo il quale “va ricondotta alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la via che:
a) consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è (eventualmente) connotata da un uso pubblico protratto da tempo;
d) è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 8 giugno 2011, n. 3509)”.
LEGITTIMA L'ORDINANZA DI RIMOZIONE DELLE CATENE. Palazzo Spada, inoltre, osserva che nel caso in esame il genere di abuso attuato – apposizione di catene di interclusione di una strada interpoderale connotata come strada vicinale - “in quanto impeditivo della circolazione nel tratto di strada, non può che giustificare la necessità, avvertita dal Comune, di rimuovere con urgenza gli ostacoli apposti dal privato”.
Qualora vi sia “l’alterazione dello stato dei luoghi di una strada (pubblica o privata) adibita al pubblico transito, il Comune deve senza alcuna esitazione emanare il provvedimento di autotutela iuris pubblici, e conseguentemente darvi esecuzione”.
“La necessità che sia senza indugio ripristinato il pubblico transito”, aggiunge il Consiglio di Stato, “non tollera alcuna perdita di tempo e nella specie ha giustificato la circostanza che il provvedimento comunale (…) abbia ordinato di ripristinare la situazione quo ante, in assenza della comunicazione di avvio del procedimento: l'amministrazione deve senza indugio porre fine ad una situazione che pregiudica l’interesse pubblico, con un atto avente natura vincolata (il che rileva anche al fine della applicazione dell'art. 21 octies, comma II, della legge n. 241/90)”.