La realizzazione di un dipinto murale a carattere decorativo determina la trasformazione della facciata dell’edificio e, come tale, non può essere qualificata come intervento di manutenzione ordinaria ma va qualificata come intervento di manutenzione straordinaria; essa comporta infatti una irreversibile trasformazione, anche solo visiva, del territorio, in quanto destinata a permanere nel tempo secondo la volontà del realizzatore o del proprietario dell’immobile, il quale deciderà se rimuoverla e quando rimuoverla.
Così la Sezione Sesta del Consiglio di Stato nella sentenza n. 1289/2023 pubblicata il 7 febbraio.
In questa recentissima sentenza si legge che “la realizzazione di un dipinto murale (che è poi l’espressione con la quale è preferibile tradurre la parola ispanica “murales”, che ha fatto il suo ingresso nella nostra lingua all'inizio degli anni Sessanta del secolo scorso e che viene gergalmente assunta anche con riferimento al singolo dipinto, ma che è più propriamente indirizzabile al solo “plurale”) sulla facciata di un palazzo costituisce obiettivamente una trasformazione di detta facciata.
In proposito va detto che per il suo carattere innovativo, il dipinto murale in esame non può essere qualificato alla stregua di una semplice attività manutentiva rientrante nell'attività edilizia libera, come intende sostenere il condominio appellante. Infatti il punto 2 dell’allegato al DM 2 marzo 2018 (decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti recante “Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222”) riconduce a questa categoria solo la tinteggiatura finalizzata a ripristinare la colorazione preesistente (testualmente, con riferimento all’opera “Rifacimento, riparazione, tinteggiatura (comprese le opere correlate)” e all’elemento “Intonaco interno e esterno”). Ne consegue che, qualora l'intervento vada oltre il semplice ripristino o rinnovamento dell'aspetto originario della facciata dell’edificio (o delle pareti dello stesso) e si proponga di reimpostare il significato dell'aspetto esterno dell'edificio, non può ricondursi alla categoria della c.d. edilizia libera.
Neppure il rinnovamento dell’aspetto originario della facciata di un edificio, peraltro attraverso un dipinto murale che è destinato a caratterizzare innovativamente la facciata stessa in modo immediatamente ed evidentemente percepibile alla vista comune (presentando, peraltro, una dimensione non indifferente, pari a 6 x 6 m.), può ricadere nella disciplina della “manutenzione ordinaria”, che riguarda sì gli interventi di rivestimento e tinteggiatura, ma “senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori”. Ed infatti sono interventi di manutenzione ordinaria quelli che servono a riparare, ristrutturare e sostituire le finiture esterne degli edifici senza modificare i caratteri originari, come il colore e i materiali. Tra questi ci sono, ad esempio il ripristino della tinteggiatura, degli intonaci e dei rivestimenti delle facciate e la pulitura delle facciate. Non certo la innovazione dell’aspetto esteriore della facciata o della parete di un edificio attraverso l’occupazione della stessa con un dipinto murale, che non costituisce manutenzione ordinaria ma “straordinaria”. Ed infatti, per le opere esterne, costituiscono interventi di manutenzione straordinaria quelli che non ripropongono gli aspetti preesistenti, oppure comportano modifiche delle caratteristiche, posizioni, forme e colori di quelle preesistenti”.
“Nella fattispecie in esame”, osserva Palazzo Spada, “la ricorrenza - del tutto palese - di una radicale modifica del colore e dell'ornamento del prospetto impedisce di considerare quale manutenzione ordinaria l’intervento pittorico qui in esame (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2020 n. 7872)”.