Il Consiglio di Stato ha espresso, con riserve e rilievi, parere positivo sullo schema di “Quinte Linee Guida per la gestione degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d'appalto o di concessione sottoposti alla misura di straordinaria gestione ai sensi dell'art. 32 del decreto legge 90/2014”, elaborate congiuntamente dall'Autorità anticorruzione e dal Ministero dell'Interno.
Di seguito riportiamo, in particolare, le osservazioni generali.
LE OSSERVAZIONI GENERALI
La disciplina che regolamenta la gestione dell’accantonamento degli utili derivanti dall’esecuzione dei contratti di appalto o di concessione sottoposti alla misura straordinaria prevista dall’art. 32 del decreto legge n. 90/2014 è, deve riconoscersi, assai scarna.
Il settimo comma dell’art. 32 cit. si limita a disporre che “nel periodo di applicazione della misura di straordinaria e temporanea gestione di cui al comma 2, i pagamenti all'impresa sono corrisposti al netto del compenso riconosciuto agli amministratori di cui al comma 2 e l'utile d'impresa derivante dalla conclusione dei contratti d'appalto di cui al comma 1, determinato anche in via presuntiva dagli amministratori, è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento, sino all'esito dei giudizi in sede penale ovvero, nei casi di cui al comma 10, dei giudizi di impugnazione o cautelari riguardanti l'informazione antimafia interdittiva”.
La norma tace in ordine alle concrete modalità di attuazione dell’accantonamento, alla tipologia di costituzione del “fondo” (ad es., in punto di remunerazione del capitale accantonato), nonché alla sorte degli utili accantonati in esito alla cessazione del commissariamento, ovvero, all’esito definitivo dei procedimenti penali o amministrativi cui la misura straordinaria è collegata.
Si tratta di questioni di peculiare delicatezza che, secondo quanto di recente affermato – peraltro, con esclusivo riguardo al commissariamento disposto ai sensi del comma 2 dell’art. 32 - dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 11.5.2018, n. 11576), riguardano il diritto soggettivo dell’impresa che esegue i lavori “commissariati” alla percezione degli utili che, in dipendenza del provvedimento prefettizio (ritenuto, nel caso del comma 2, a contenuto “vincolato”), non degrada ad interesse legittimo e, conseguentemente, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (a differenza di quel che pare plausibile ritenere – secondo quel che si dirà ed a conferma della significativa diversità delle fattispecie – nella distinta ipotesi del commissariamento conseguente alla adozione di interdittiva antimafia, che è atto evidentemente discrezionale, come tale impugnabile dinanzi al giudice amministrativo).
In tale contesto, l’adozione delle Linee Guida sottoposte al presente parere risulta nel complesso finalizzata a garantire la corretta funzionalità della norma mediante alcune integrazioni operative di dettaglio che si muovono in linea con l’interpretazione dell’istituto del commissariamento ex art. 32 del d.l. 90/2014 sostenuta dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Giova, al riguardo, ricordare che l’articolo 32 del d.l. cit. si propone – mediante un innovativo meccanismo di commissariamento – l’obiettivo di contemperare l’esigenza di garantire la completa esecuzione delle opere pubbliche di rilevante interesse neutralizzando, al contempo, il rischio derivante dall’infiltrazione criminale nelle gestione delle imprese appaltanti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2016, n. 1630 ed ancor prima Id., 24 luglio 2015, n. 3653).
In tempi recenti, il Consiglio di Stato ha ribadito che attraverso l’intervento di commissariamento disposto dal Prefetto si sterilizza la gestione del contratto dal pericolo di acquisizione delle utilità illecitamente captate in danno della pubblica amministrazione, laddove dette utilità siano direttamente collegate al processo penale per reati previsti dal primo comma della norma in esame, ovvero riguardino un’impresa colpita da informazione interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 27.11.2017, n. 5565 Id., 10.1.2018, n. 93).
Come la dottrina non ha mancato di evidenziare, si tratta di uno strumento di autotutela contrattuale previsto direttamente dalla legge, che riguarda soltanto il contratto (e la realizzazione dell’opera pubblica, la erogazione del servizio o l’effettuazione della fornitura) e non la governance dell’impresa (in quanto tale ed in ciò si distinguendosi dalle misure di prevenzione patrimoniali disposte ai sensi del d. lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia).
La ratio della norma è quella di consentire il completamento del programma contrattuale nell’esclusivo interesse dell’amministrazione concedente, mediante la gestione del contratto in regime di “legalità controllata” e in tale ottica va letto anche il settimo comma dell’art. 32 cit., che impone l’accantonamento degli utili che dal contratto commissariato derivano (al netto delle spese per la realizzazione dell’opera pubblica).
Si tratta di una misura cautelare che si affianca alla gestione controllata del contratto e completa il sistema di tutela dell’interesse pubblico, aggiungendo alla garanzia della realizzazione del programma contrattuale anche la salvaguardia del recupero “patrimoniale” che può conseguire dalla definizione dei procedimenti penali e amministrativi in relazione ai quali il commissariamento stesso è stato imposto.
Ciò al fine di scongiurare il paradossale effetto di far percepire, proprio attraverso il commissariamento che conduce all’esecuzione del contratto, il profitto dell’attività criminosa; in coerenza sia con la disposizione generale che consente nel processo penale di disporre la confisca del profitto del reato (art. 240 c.p.), sia avuto riguardo, nella fattispecie, alla speciale disposizione di cui all’art. 322 ter c.p. (in tal senso si veda anche Cass., sez. III, 26/09/2017, n. 51085).
La natura cautelare dell’accantonamento va letta in collegamento sia all’esito del giudizio penale da cui discende la necessità di assicurare la confisca del profitto dei reati contro la p.a. facenti parte del catalogo indicato dal primo comma dell’art. 32 cit. (se accertati all’esito del procedimento penale), sia all’esito del giudizio amministrativo laddove il commissariamento sia disposto in conseguenza dell’adozione di una interdittiva antimafia.
In tal senso, la disposizione in esame impone l’accantonamento degli utili per entrambe le ipotesi di commissariamento - rispettivamente disciplinate dal primo e dal decimo comma dell’art. 32 del d.l. anticorruzione - senza alcuna distinzione tra le due diverse tipologie. Le quali devono, nondimeno, essere tenute adeguatamente distinte, proprio avuto riguardo alla sorte dei disposti accantonamenti, che la norma condiziona rispettivamente agli esiti del giudizio penale e al consolidamento (per mancata o respinta impugnazione) dell’informativa interdittiva antimafia.
In effetti, merita sin d’ora evidenziare che solo nel primo caso emerge una diretta strumentalità dell’accantonamento rispetto alla misura della (definitiva) confisca assunta in sede penale; nel secondo caso, la questione si pone in termini alquanto più complessi, trattandosi di accantonamento in certa misura “fine a se stesso”, perché riconnesso esclusivamente alla adozione della misura antimafia.
Appare, per tal via, condivisibile la scelta di disciplinare separatamente le due diverse ipotesi di commissariamento - rispettivamente disciplinate dal primo e dal decimo comma dell’art. 32 cit. - nella considerazione della diversa possibile sorte degli utili accantonati.