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Contributo di costruzione: il Governo impugna norma del Veneto

Alla Corte costituzionale anche una disposizione sullo sportello unico delle attività produttive per le procedure urbanistiche

venerdì 27 settembre 2019 - Redazione Build News

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Ieri il Consiglio dei ministri n. 5 ha impugnato la legge della Regione Veneto n. 29 del 25/07/2019, recante “Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del territorio e paesaggio, parchi, trasporto pubblico, lavori pubblici, ambiente, cave e miniere, turismo e servizi all’infanzia”.

Secondo il Governo nazionale una norma di questa legge regionale, riguardante il contributo di costruzione per interventi edilizi contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio, in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

Un’altra norma riguardante lo sportello unico delle attività produttive per le procedure urbanistiche, provocando un aggravamento procedurale, viola l’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e viola altresì l’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza.

Ecco nel dettaglio le ragioni dell'impugnativa:

1) La norma contenuta nell’articolo 11 inserisce nella legge regionale n. 11/2004 – recante Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio - un nuovo articolo 40 bis, rubricato “Disposizioni relative a immobili costitutivi della memoria e dell'identità storico-culturale del territorio”.

Detta disposizione , al comma 5, prevede l'esenzione del pagamento del contributo di costruzione neII'ipotesi di cambio di destinazione d'uso di immobili funzionali alla conservazione delle memoria e dell'identità storico-culturale del territorio, al ricorrere delle ulteriori condizioni ivi previste (riconoscimento da parte del comune di un interesse pubblico, sussistenza di adeguate opere di urbanizzazione primarie e mancanza di aumento dei carichi urbanistici).

Il contributo di costruzione è disciplinato del DPR n.380/2001 “ Testo Unico dell’Edilizia”, il cui art. 16 prevede che, salvi i casi di esenzione, "il rilascio dei Permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione".

Il successivo articolo 17 dello stesso TUE disciplina puntualmente le ipotesi di esenzione dal pagamento, circoscrivendole ai casi di:

a) interventi da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale;

b) interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento di edifici unifamiliari;

e) impianti, attrezzature, opere pubbliche e di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonchè per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;

d) interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità;

e) nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale.

Pertanto, nell’ipotesi di cambio di destinazione d'uso sussiste l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della SCIA o del Permesso di costruire , in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa. (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 2012, n. 4670), considerato che la quota relativa al costo di costruzione appare comunque dovuta anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4483).

La Corte CostituzionaIe, nella sentenza n. 1033 del 1988, ha evidenziato che rientrano nell'ambito delle disposizioni di principio non soltanto quelle che definiscono l'onerosità dell'attività edilizia, ma anche quelle che, incidendo su tele principio, "concorrono a determinare l'effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio medesimo", in quanto ad esso "legate da un rapporto di coessenzialità o di integrazione necessaria". E' stata pertanto riconosciuta la natura di norme di principio alle disposizioni contenenti deroghe o riduzioni dell'importo ordinariamente previsto del contributo di costruzione.

Più recentemente, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità di alcune norme di una legge regionale ligure recanti ipotesi di esonero dal pagamento del contributo di costruzione di interventi edilizi ad esso invece soggetti ai sensi della normativa statale: "Le fattispecie di esonero introdotte dalle norme regionali impugnate vanno al di là di queste ipotesi e contrastano, dunque, con i principi fondamentali della materia. L'onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio dellla disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all'art. 27 del TUE), in quanto legate a quest'ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n 1033 del 1988 e n. 13 dei 1980)" (Corte Costituzionale, sent. n. 231/2016).

Inoltre, alla luce del combinato disposto dei commi 2 e 5 del nuovo articolo 40-bis inserito, per effetto del predetto articolo 11 della L.R. in oggetto, all’interno della L.R. n. 11 del 2004, si rileva un ulteriore profilo di contrasto con la disciplina statale di riferimento, in particolare, con il disposto dell’articolo 16, comma 4, lett. d-ter) del d.P.R. n. 380 del 2001), laddove si stabilisce che “ l’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione: […] d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso.”. Si tratta di una disposizione di principio che disciplina la fattispecie del «contributo straordinario» connesso a nuove valorizzazioni urbanistiche in ambito nazionale. A tale conclusione si giunge se si considera, appunto, il contesto in cui la disposizione di cui al suddetto comma 5 è collocata, essendo la stessa inserita all’interno del nuovo articolo 40-bis della L.R. n. 11 del 2004, il quale, al comma 2, prevede l’approvazione, da parte del Comune, di una variante al Piano degli interventi comunali (PI).

Né possono invocarsi, a sostegno della disposizione regionale in parola, le previsioni contenute nell’art. 16, comma 4-bis e comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, in base alle quali vengono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali. La norma infatti è evidentemente riferite alla disciplina del calcolo del maggior valore e agli obiettivi cui il “contributo straordinario” deve essere vincolato, stante la specificità di ogni singola realtà territoriale. Rimane, quindi, inalterato il principio in base al quale, per quanto di interesse nel caso di specie, qualora si sia in presenza di varianti urbanistiche con cambio di destinazione d’uso è dovuto un “contributo straordinario”, in ragione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili.

Per i motivi descritti, le disposizioni regionali sopra evidenziate violano gli articoli 16 e 17 del DPR 380/2001 che costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, ponendosi così in contrasto con l’articolo 117, terzo comma , della Costituzione.

2 ) L’art. 20 modifica la legge regionale n. 55 del 31 dicembre 2012, introducendo un articolo 6-bis, secondo cui: “1. Nelle procedure relative allo sportello unico per le attività produttive di cui al D.P.R. 160/2010, decorsi inutilmente i termini fissati dall'articolo 7, commi 1 e 2, del medesimo decreto, senza che il responsabile del procedimento presso la struttura dello sportello unico comunale o intercomunale abbia comunicato al richiedente il provvedimento conclusivo, ovvero abbia attivato la conferenza di servizi di cui all'articolo 7, comma 3, il richiedente può presentare istanza alla struttura provinciale o della Città metropolitana competente in materia di sportello unico per le imprese affinché, entro quindici giorni dalla richiesta, convochi una conferenza di servizi finalizzata ad individuare le modalità per l'eventuale prosecuzione del procedimento. Le medesime procedure si applicano nell'ipotesi in cui, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del D.P.R. 160/2010, non sia stato comunicato l'avvio della conferenza dei servizi entro i termini dell'articolo 7, comma 1”.

Detta disposizione introduce una deroga all’art. 7, comma 3 del d.P.R. n. 160 del 2010, ai sensi del quale, scaduto il termine stabilito per la conclusione del procedimento davanti allo sportello unico ovvero in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, si applica la regola del “silenzio assenso”. Infatti, il suddetto d.P.R. rinvia all'articolo 38, comma 3, lettera h), del d.l. n. 112 del 2008 (convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008), in cui si prevede che: “ in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l'amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso”.

La modifica normativa introdotta dalla legge regionale in esame determina quindi un aggravamento procedimentale poiché:

a) esclude l’applicazione della regola del silenzio assenso, che consentirebbe la chiusura certa del procedimento;

b) prevede l’attivazione di una conferenza di servizi, non per definire il procedimento ma per individuarne “le modalità per l'eventuale prosecuzione”.

La Corte Costituzionale , con la sentenza n. 15 del 2010, ha riconosciuto la disciplina in materia di sportello unico di competenza statale e ha dichiarato che: “Palese è quindi la funzione di coordinamento perseguita dalla normativa che disciplina compiti e funzionamento dello “sportello unico per le imprese”, attraverso la istituzione di un procedimento amministrativo uniforme volto a consentire ai soggetti in possesso dei requisiti di legge la intrapresa dell’ attività economica. Ciò non solo al fine di garantire, attraverso la uniformità e la ragionevole snellezza del procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilità del mercato, sì da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche al fine di dare contenuto al precetto di cui all’art. 41 della Costituzione, il quale assegna, fra l’altro, alla legge dello Stato il compito di determinare i controlli opportuni affinché la iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali). Da quanto affermato dalla Consulta si desume che le modifiche da parte della normativa regionale per le parti di competenza possano essere ritenute legittime solo se modificano in melius la normativa statale prevedendo forme più avanzate di semplificazione.

La norma regionale in esame quindi, ponendosi in contrasto con le disposizioni statali sopra citate, che si atteggiano come norme interposte, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che assegna alto Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e con il medesimo articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza.

La legge regionale deve quindi essere impugnata, limitatamente alle disposizioni sopra indicate, ai sensi dell’articolo127 della Costituzione.

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