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Cop 21, cosa cambierà con l'accordo sul clima?

Fra i punti principali dell'accordo il mantenimento del riscaldamento globale sotto i 2°C e finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo. Aspetti e punti critici del testo definitivo

lunedì 14 dicembre 2015 - Erika Seghetti

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L'accordo sul clima c'è. Dopo giorni di discussioni e trattative serrate, i delegati di quasi 200 Paesi hanno raggiunto a Parigi l'atteso accordo per limitare il riscaldamento globale. “Un accordo giusto, duraturo, bilanciato”, lo ha definito Laurent Fabius, presidente della Cop21, introducendo il testo definitivo approvato. "Siamo nella storia" ha detto a sua volta il nostro ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti. "E a questa storia ha contribuito anche l'Italia.”

La cerimonia ufficiale di firma  sarà  il 22 aprile 2016 a New York e l’entrata in vigore del trattato, non prima del 2020, avverrà 30  giorni da quando almeno 55 parti responsabili di almeno il 55% delle emissioni di gas serra lo avranno ratificato.



Il testo adottato parte da un presupposto fondamentale: "il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta" e richiede pertanto "la massima cooperazione possibile da parte di tutti i Paesi" con l'obiettivo di "accelerare la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra".  Rivisto, corretto e riadattato nel corso di questi 12 giorni e notti a Le Bourget dalle delegazioni di 196 Paesi l'intesa rappresenta, come tutti sottolineano, solo l'inizio di un lungo percorso. Un inizio che ha trovato il plauso di molti ma non di tutti.

I PUNTI SALIENTI

Mantenere il riscaldamento del pianeta sotto i 2 gradi centigradi
L'obiettivo generale, quello richiesto unanimamente, è stato rispettato e inserito nel testo dell'accordo: mantenere, cioè, l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2020 e proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, "riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico".
Altro aspetto importante è che il testo prevede un processo di revisione degli obiettivi volontari (Indc) che dovrà svolgersi ogni 5 anni, ma invita a un dialogo facilitativo "a partire del 2018" così da arrivare al 2020 già con nuovi indici; questo perche, secondo previsioni scientifiche concordanti, con gli attuali impegni si arriverebbe comunque a un rialzo delle temperature di quasi 3 gradi.
Tra i sostenitori, più di 100 Paesi, l'Unione europea - l'Italia in prima fila - e soprattutto gli Stati Uniti. Tra i contrari, l'Arabia Saudita, secondo cui un obiettivo così ambizioso potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare del pianeta.

100 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo
Nel testo è stato inserito, nell'ambito delle decisioni non vincolanti, l'invito "ai Paesi sviluppati a incrementare il loro livello di supporto finanziario, con una roadmap concreta per raggiungere l'obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020 per mitigazione e adattamento, aumentando in modo significativo i finanziamenti per l'adattamento rispetto ai livelli attuali e fornendo l'appropriato supporto tecnologico e di creazione di competenze".  In poche parole i paesi sviluppati devono fornire i mezzi, gli altri sono invitati ad agire.


Riduzione delle emissioni di Co2
Per quanto riguarda le emissioni inquinanti, nel testo si prevede di raggiungere un picco globale delle emissioni di gas a effetto serra nel più breve tempo possibile, anche se che ci vorrà più tempo per i Paesi in via di sviluppo, e di "intraprendere - c'è scritto nel testo - riduzioni rapide da quel picco in poi secondo le conoscenze scientifiche disponibili, in modo da arrivare a un equilibrio tra le emissioni in atmosfera e le emissioni assorbite in modo persistente dalle biomassa (foreste, suolo) o catturate e stoccate sotto terra. Secondo i critici dell'accordo questo potrebbe aiutare a ridurre in modo significativo le emissioni, ma non potrà sostituire la necessità di ridurre a zero le emissioni inquinanti. I Paesi più colpiti dall'impatto del cambiamento climatico e molte ong avevano chiesto a gran voce un impegno chiaro, mentre i giganti emergenti - India e Cina - premevano per posticipare o sfumare qualsiasi obbligo, rivendicando il diritto a bruciare carbone. Proprio per questo motivo nell'accordo, giuridicamente vincolante, non si parla più nello specifico di "neutralità carbonica" e non si precisa più l'obiettivo delle riduzioni entro il 2050.


Revisione quinquennale degli impegni
Ogni cinque anni i paesi dovranno rivedere il loro contributo e rinnovare gli impegni nazionali per raggiungere gli obiettivi fissati e quelli futuri che non potranno essere meno ambiziosi rispetto a quelli precedenti.


Spinta (indiretta) alle rinnovabili

In base all’accordo gli impatti sui produttori di energia rinnovabile sono indiretti. Nel testo, infatti, non è esplicitato in modo diretto una “maggiore diffusione delle energie rinnovabili”, ma gli esperti dicono che gli obiettivi di temperatura a lungo termine e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra costringeranno i paesi a incentivare la produzione di energia pulita per riuscire a raggiungere gli obiettivi dichiarati. “Non c’è dubbio che l’attuazione dell’accordo di Parigi e la sua architettura sarà una grande spinta per le aziende energetiche rinnovabili”, ha detto Christiana Figueres, Segretario generale delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico.

Refrigerazione, buone prospettive per gli HFC

Spinta anche sulla refrigerazione. In questo caso si tratta di una novità introdotta non nel testo dell'accordo ma che deve ad ogni modo alle discussioni emerse nel corso del summit di Parigi. Durante un evento, l’associazione industriale americana The Alliance ha presentato due iniziative dell’industria della refrigerazione e della climatizzazione per sottolineare il suo impegno nella lotta al riscaldamento climatico. Si tratta del Global Food Chain Council (GFCCC) che si concentra su catena del freddo e scarti alimentari e della Global Refrigerant Management Initiative (GRMI) che si propone la gestione responsabile dei fluidi refrigeranti. Anche l'UNEP (programma ambientale delle Nazioni Unite) è coinvolto nelle due iniziative.  Il GFCCC mira a promuovere la transizione alle tecnologie a basso potenziale di riscaldamento globale e a rafforzare la catena alimentare, in particolare nei paesi in via di sviluppo. La GRMI mira, invece, a ridurre le emissioni delle installazioni di refrigerazione e climatizzazione in seguito a fughe occasionate da installazione, manutenzione e fine di vita. A tal fine, saranno messi a punto programmi formativi e di certificazione su scala mondiale.

LE REAZIONI IN ITALIA

La soddisfazione della politica

Come è facile immaginare, l'accordo divide. Tra le fila dei soddisfatti, il ministro Galletti che lo ha definito “un punto di non ritorno”.

“L’accordo – spiega – non e’ tutto incentrato su impegni volontari, ce ne sono molti anche di vincolanti. C’e’ l’obbligo di presentare i propri contributi nazionali a ridurre le emissioni e poi di continuare a farlo ogni cinque anni, ponendosi obiettivi sempre piu’ stringenti. E poi sono vincolanti una serie di meccanismi. Ma quello che conta e’ il cambio di prospettiva politico. L’era delle fonti fossili sta tramontando e tutti l’hanno capito. Chi ha preso gli impegni li manterra’, anzi, molti faranno anche meglio”. Intervistato anche dal Sole 24 ore, Galletti fa sapere che per l’Italia “ci saranno effetti positivi. Noi – afferma – siamo tra i Paesi sottoscrittori del Protocollo di Kyoto del ’97 e l’abbiamo rispettato; oggi il 42% dell’energia elettrica italiana proviene dalle energie rinnovabili, abbiamo investito nella green economy, abbiamo ridotto le emissioni del 20%. Quindi sappiamo bene come si fa, abbiamo sviluppato le tecnologie migliori da esportare, abbiamo le buone pratiche da proporre al mondo”. “Sono sicuro – aggiunge – che per l’impresa italiana da questo accordo sul clima ci saranno solo vantaggi. Oggi non e’ come quando firmammo il Protocollo di Kyoto, con il quale noi europei e soprattutto noi italiani prendemmo un carico rilevante di vincoli quando altri Paesi non ne avevano. Tutto il mondo si impegna ad andare in una direzione comune, e finalmente questo impegno non e’ piu’ una serie di vincoli ma, appunto, di opportunita’. E’ come se a Parigi stessimo facendo il grande “piano industriale del mondo”.

Lo scetticimo di scienziati e ambientalisti

Per molti scienziati e ambientalisti l'accordo invece non è ancora sufficiente. Un punto critico riguarda i Paesi vulnerabili. "Non c'è garanzia di assistenza per le persone che subiscono i più gravi effetti del cambiamento climatico", sottolineano i rappresentanti della rete di Ong Climate action network, secondo cui "gli interessi dei più poveri, soprattutto sull'adattamento, sono stati sorvolati" nelle decisioni in ambito finanziario.

A dire che "questo accordo da solo non basta" è anche Greenpeace, secondo cui "contiene un'intrinseca e radicata ingiustizia: le nazioni responsabili del riscaldamento globale hanno promesso un aiuto misero a chi già oggi rischia di perdere la vita e i mezzi di sostentamento a causa dei mutamenti climatici". “Questo accordo non ci porta fuori dal baratro” sottolinea Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace, “ci siamo ancora dentro profondamente. La differenza è solo che in questo momento le pareti dello strapiombo diventano meno ripide e ci sono alcuni appigli cui aggrapparsi per costruire un movimento crescente tra i cittadini in tutto il mondo.”

Gli impegni alla riduzione di CO2 espressi da quasi tutti i Paesi, "se rigorosamente attuati, sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2,7-3 gradi", osserva anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, secondo il quale "non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi, e ancor meno al limite di 1,5 gradi". Quindi, "è cruciale una revisione di questi impegni non oltre il 2020 e purtroppo l'accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale degli impegni. E' invece urgente farlo prima del gennaio 2021, quando il nuovo accordo sarà operativo".

L'accordo "è una base di lavoro per tutti i paesi, indica un percorso e riconosce un problema che va affrontato e risolto". Così Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free, fonti rinnovabili ed efficienza energetica che raggruppa 30 associazioni del settore aggiungendo che "per quello che riguarda l'Europa, pensiamo che sia necessario alzare gli obiettivi al 2030 portando il taglio delle emissioni di CO2 al 50%, aumentando la quota di efficienza energetica dal 30% al 40% e quella di produzione di energia da rinnovabili al 33%. Per questo - conclude - il Governo Renzi deve fare proprio l'obiettivo di una politica che combatta il cambiamento climatico, con un programma ambizioso che sinora è stato troppo timido".

Sulla Cop 21 speravamo di essere smentiti ma il risultato finale non ci dà motivo di essere soddisfatti. Basare un accordo sul meccanismo di un protocollo che deve essere ratificato dalla maggior parte dei paesi, come è stato per Kyoto, non è la strada migliore per raggiungere obiettivi ambiziosi che salvino il pianeta". Così Livio de Santoli, presidente di Aicarr, associazione italiana condizionamento dell'aria riscaldamento e refrigerazione. Anche a Parigi "è mancato un serio lavoro sul capitolo del 'climate finance', infatti ci troviamo a dover fronteggiare il cambiamento climatico con risorse economiche del tutto insufficienti - afferma de Santoli - Inoltre, non si è fatto riferimento all'obiettivo di arrivare al 2050 con una produzione di energia da rinnovabili al 100% e con una moratoria sulle estrazioni dei fossili. Per queste ragioni non brindiamo all'accordo, che si può considerare al ribasso".

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