L’articolo 3, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, e gli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, letti alla luce dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa italiana che prevede la riduzione o il rinvio del pagamento degli incentivi per l’energia prodotta dagli impianti solari fotovoltaici, incentivi precedentemente concessi mediante decisioni amministrative e confermati da apposite convenzioni concluse tra gli operatori di tali impianti e una società pubblica, qualora tale normativa riguardi gli incentivi già previsti, ma non ancora dovuti.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea nella sentenza del 15 aprile 2021, cause riunite C-798/18 e C-799/18, aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del 28 settembre 2018.
Le domande sono state presentate nell’ambito di controversie sorte tra, da un lato, nella causa C-798/18, la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) nonché 159 imprese che producono energia elettrica da impianti fotovoltaici e, nella causa C-799/18, l’Athesia Energy Srl nonché altre 15 imprese operanti nello stesso settore e, dall’altro lato, il Ministero dello Sviluppo economico e il Gestore dei servizi energetici (GSE), in merito all’annullamento dei decreti attuativi delle disposizioni legislative nazionali che prevedono una revisione delle tariffe incentivanti per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e delle relative modalità di pagamento.
L’articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014 ha rimodulato gli incentivi per gli impianti di potenza superiore a 200 kW, assegnati in forza dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 387/2003 o dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 28/2011, al fine di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e di favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili. L’articolo 26 ha pertanto previsto, al comma 2, che a partire dal secondo semestre del 2014 le tariffe incentivanti devono essere erogate sotto forma di rate mensili costanti in misura pari al 90% della producibilità media annua stimata di ciascun impianto nell’anno solare di produzione, facendo in seguito un conguaglio in relazione alla produzione effettiva, stabilendo, inoltre, il passaggio a un sistema tariffario diverso a seconda di una delle opzioni indicate al comma 3, vale a dire l’estensione della durata dell’incentivo, che è portata a 24 anni, con una riduzione proporzionale delle erogazioni annue di una determinata percentuale, la riduzione degli importi per il periodo compreso tra gli anni 2015 e 2019, compensata da un aumento per il periodo successivo, o una riduzione della tariffa di una percentuale da determinare rispetto alla potenza nominale degli impianti.
Secondo i ricorrenti, quanto disposto dall'articolo 26, commi 2 e 3 del decreto-legge n. 91/2014, convertito nella legge 116/2014 – “Spalma-incentivi” – avrebbe “modificato unilateralmente le condizioni giuridiche sulla cui base i ricorrenti nei procedimenti stessi avevano impostato la propria attività economica, e ciò in assenza di circostanze eccezionali che giustificherebbero una simile modifica”.
Secondo la Corte Ue “il diritto fatto valere dai gestori di impianti fotovoltaici interessati di beneficiare degli incentivi di cui ai procedimenti principali in modo immutato per l’intera durata delle convenzioni da essi concluse con il GSE non costituisce una posizione giuridica acquisita e non rientra nella tutela prevista all’articolo 17 della Carta, ragion per cui la modifica degli importi di tali incentivi o delle modalità della loro erogazione, effettuata da una disposizione nazionale quale l’articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014, non può essere assimilata a un pregiudizio del diritto di proprietà come riconosciuto al suddetto articolo 17”.
Le misure previste all’articolo 26, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 91/2014 “non incidono peraltro sugli incentivi già erogati, ma sono applicabili unicamente a decorrere dall’entrata in vigore di tale decreto-legge e unicamente agli incentivi previsti, ma non ancora dovuti. Di conseguenza, tali misure non sono retroattive, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti nei procedimenti principali”.
Inoltre, “una disposizione nazionale quale l’articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014 non può essere considerata una violazione della libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta”, ha affermato la Corte di giustizia europea.
In allegato la sentenza della Corte Ue