Per immobile “collabente” deve intendersi quell’edificio, o parte di esso, che, a causa dell’accentuato livello di degrado, non è in grado di produrre reddito. Più propriamente, un fabbricato non abitabile o agibile e comunque di fatto non utilizzabile, a causa di dissesti statici, di fatiscenza o inesistenza di elementi strutturali e impiantistici, ovvero delle principali finiture ordinariamente presenti nella categoria catastale in cui è censito o censibile. Un immobile, in sostanza, che si trova allo stato di rudere, la cui concreta utilizzabilità, pertanto, non è conseguibile con soli interventi edilizi di manutenzione ordinaria o straordinaria, occorrendo, allo scopo, opere più radicali (cfr.: art. 3, comma 2, e art. 6, lett. c, d.m. n. 28 del 2.1.’98).
In proposito, l’Agenzia delle entrate, con nota n. 29440 del 30.7.‘13, ha chiarito che – ai fini della dichiarazione in Catasto di un fabbricato come “collabente” (categoria F2: fabbricati diruti, con tetto crollato e inutilizzabili) – è necessario che alla dichiarazione predisposta dal professionista venga allegata una specifica relazione, datata e firmata, che rappresenti, mediante documentazione fotografica, lo stato dei luoghi e del fabbricato, accompagnata da un’autodichiarazione, resa dall’intestatario del cespite, che attesti l’assenza di allacciamento ai servizi primari (luce, acqua e gas).
Dal punto di vista fiscale l’immobile riconosciuto come collabente, non essendo produttivo di reddito, non è soggetto all’Imu e alla Tasi. Alcuni Comuni, tuttavia, chiedono comunque il versamento di tali imposte in riferimento all’area di sedime, considerandola area fabbricabile e come tale assoggettabile al relativo regime impositivo.