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Covid e inquinamento atmosferico, un nuovo studio del Cnr conferma il legame

Nell’ultimo studio realizzato dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il Gipsa-lab del Grenoble è emerso che gli alti numeri di contagio in Lombardia a maggio 2020 potrebbero essere legati alle elevate percentuali di inquinanti nell’atmosfera

mercoledì 17 marzo 2021 - Redazione Build News

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Un nuovo studio pubblicato a fine gennaio sull’International Journal of Environmental Research and Public Health (PDF completo in allegato) conferma la correlazione tra inquinamento atmosferico e insorgenza del Covid-19. La ricerca, condotta dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr in collaborazione con il Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi,  ha incrociato i dati meteorologici della temperatura, l’umidità relativa e la velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche lombarde, con i focolai di Covid-19 che si sono sviluppati in Lombardia durante la prima ondata pandemica (dal 24 febbraio al 31 marzo), e con le concentrazioni giornaliere di inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2), ozono (O3) ammoniaca (NH3).

“I risultati mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, spiega il ricercatore Cnr-Ismn Roberto Dragone. Nel periodo analizzato, oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).

Gli studi precedenti sul rapporto tra Covid-19 e smog

La maggiore incidenza dei contagi nelle province più inquinate ha da tempo spinto i ricercatori a interrogarsi sulla possibile esistenza di un legame tra particolato atmosferico e trasmissione del Sars-CoV-2. Uno studio della SIMA, Società di medicina ambientale, pubblicato lo scorso autunno sul British Medical Journal, ha dimostrato l’interazione tra particolato e virus, isolando tracce di RNA virale nei campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati in provincia di Bergamo.

Le evidenze però sono contrastanti: uno studio pubblicato a gennaio su Environmental Research dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr e Arpa Lombardia ha concluso al contrario che il particolato atmosferico non può favorire la diffusione aerea del Covid-19. Nel lavoro sono state stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera a Milano e Bergamo in funzione del numero delle persone positive nel periodo gennaio/maggio 2020. Dai risultati si arriva alla conclusione che le concentrazioni di particelle virali nell’atmosfera erano in una percentuale così bassa che la maggiore probabilità di trasmissione del contagio all’aperto, al di fuori di zone di assembramento, appare trascurabile.

La correlazione tra inquinanti e trasmissione del virus

Gli studi pubblicati in questi mesi concordano sull’esistenza di una correlazione tra inquinamento atmosferico e trasmissione del contagio, ma è ancora incerta l’esistenza di un rapporto di causalità tra i due fenomeni. Tra le possibilità prese in esame dai ricercatori c’è quella di un’influenza “indiretta” dell’inquinamento sull’incidenza del contagio: la continua esposizione a inquinanti atmosferici può aver causato infatti una progressiva sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie. 

IN ALLEGATO, lo studio del CNR pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health

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