Il Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile «nella parte in cui prevede che il compenso dell’esperto venga calcolato in base al ricavato realizzato dalla vendita del bene, nonché nella parte in cui prevede che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del valore di stima, in relazione agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117 [recte: primo comma] Costituzione, quest’ultimo in relazione al principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto comunitario primario».
Il giudice a quo premette di dover decidere sull’istanza di liquidazione presentata da un geometra, nominato come esperto per la stima degli immobili pignorati, e di dover applicare l’art. 161, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ., aggiunto dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132.
Il rimettente censura l’art. 161, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ., «sia nella parte in cui prevede che il compenso dell’esperto stimatore nominato ex art. 569 c.p.c. venga liquidato sulla scorta del ricavato della vendita, anzich[é] in base al valore di stima (come previsto dall’art. 13 D.M. 182/2002), sia nella parte in cui dispone che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del compenso calcolato sul valore di stima».
Ad avviso del rimettente, la liquidazione del compenso in base al valore di vendita dell’immobile sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), sotto molteplici profili.
LA SENTENZA DELLA CONSULTA. Con la sentenza n. 90/2019, la Corte costituzionale ha:
1) dichiarato inammissibili gli interventi spiegati dall’Associazione dei periti e degli esperti - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE nazionale), dall’Associazione dei periti e degli esperti della Toscana - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE Toscana), dalla Rete nazionale delle professioni dell’area tecnica e scientifica (RPT) e dall’associazione «E-Valuations: Estimo e Valutazioni - Associazione valutatori immobiliari indipendenti»;
2) dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter) del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, sollevate dal Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare, in riferimento agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, «quest’ultimo in relazione al principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto comunitario primario».
“Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenza n. 13 del 2016, punto 5.4. del Considerato in diritto), il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) non è correttamente evocato con riguardo all’opera prestata dagli ausiliari del giudice. L’adeguatezza del compenso, difatti, non può essere valutata con riferimento all’art. 36 Cost., che postula «un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione» e la possibilità di ricostruire l’incidenza delle singole prestazioni sulla complessiva attività dell’ausiliario e sulla «formazione dell’intero reddito professionale del singolo prestatore» (sentenza n. 88 del 1970, punto 4. del Considerato in diritto, richiamata dalla sentenza n. 41 del 1996, punto 6. del Considerato in diritto). Tali presupposti difettano nel caso di specie”, osserva la Consulta.
“La liquidazione del compenso degli esperti si colloca nell’alveo dell’attività giurisdizionale e, per costante giurisprudenza di questa Corte, il principio di buon andamento (art. 97 Cost.), è «riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all’attività giurisdizionale in senso stretto» (ex multis, sentenza n. 91 del 2018, punto 9. del Considerato in diritto)”, precisa la Corte costituzionale.
“Il legislatore, con le modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2015, si è limitato a fissare un criterio oggettivo di determinazione del compenso di un professionista che opera come ausiliario del giudice.
L’opera degli ausiliari del giudice, inoltre, non può essere ricondotta al paradigma dell’art. 41 Cost. Tali figure, investite di un munus publicum, non possono essere assimilate ai professionisti che operano in un contesto di mercato (ordinanza n. 391 del 1988). È la connotazione pubblicistica che permea l’attività degli esperti a precludere dunque ogni raffronto con i professionisti che lavorano in piena autonomia.
Nella valutazione dell’opera dell’esperto, il giudice ricorrerà ai parametri del decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), che consentono di ponderare i variegati compiti attribuiti all’esperto.
Tali compiti, difatti, non si esauriscono nella mera stima dell’immobile, considerata dall’art. 13 del decreto ministeriale 30 maggio 2002 con riguardo alla eterogenea peculiarità dei singoli cespiti, ma comprendono anche le verifiche urbanistico-edilizie (art. 11), la verifica di rispondenza tecnica alle norme e gli accertamenti in materia di rilievi topografici e planimetrici (art. 12), la verifica della congruità del canone di locazione (art. 16).
Il giudice potrà applicare il criterio residuale delle vacazioni (art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, recante «Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria»), allo scopo di tenere nel debito conto il tempo impiegato dall’esperto per adempiere all’incarico anche con riguardo alle attività che non trovino un puntuale riscontro nei parametri tabellari.
L’ordinamento offre dunque – conclude la Consulta - al prudente apprezzamento del giudice, anche mediante l’applicazione congiunta dei diversi criteri di liquidazione, gli strumenti più efficaci per proporzionare il compenso alla difficoltà dell’incarico e alla più vasta gamma dei compiti, senza dar luogo a duplicazioni di sorta e senza svilire l’impegno assicurato dall’ausiliario”.
In allegato la sentenza