L'Associazione dei comuni italiani (Anci) ha consegnato alle commissioni Ambiente e Agricoltura della Camera il proprio parere sul nuovo testo del progetto di legge recante “Contenimento del consumo e riuso del suolo edificato”.
L'Anci critica in particolare tre punti: 1) la complessità dell'iter procedurale per la definizione della riduzione progressiva vincolante, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale; 2) la definizione di 'superficie agricola'; 3) la fase transitoria.
QUOTE DI SUOLO CONSUMABILI. In base a quanto previsto dalla proposta di legge, il ministero delle Politiche agricole, di concerto con i ministeri dell'Ambiente, dei Beni culturali e delle Infrastrutture, e con l'accordo delle Regioni, metterà a punto un decreto interministeriale nel quale sarà definita la riduzione progressiva vincolante, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale.
Per l'Associazione dei Comuni trattasi di un iter "complesso" che "costringerà i Comuni a revisionare la propria pianificazione urbanistica, almeno per quella parte degli strumenti di pianificazione attinente alle aree ora destinate all'espansione". Tale revisione "rischia di diventare un oneroso processo amministrativo senza fine visto che le Regioni, ogni 5 anni, dovranno disporre la riduzione del consumo del suolo determinando i criteri e le modalità da rispettare nella pianificazione urbanistica di livello comunale".
A ciò si aggiungono “le difficoltà per localizzare le nuove opere pubbliche che comportano l'utilizzo di suolo non edificato le cui procedure dovranno 'arricchirsi' con un passaggio procedurale nel quale si attesti che non vi sono alternative all'uso di 'nuovo' suolo".
Secondo l'Anci "occorre individuare una procedura semplificata, per esempio proponendo di ridurre progressivamente la quota percentuale delle zone di nuova urbanizzazione rispetto a quelle già edificate, favorendo contemporaneamente la rigenerazione urbana".
DEFINIZIONE DI 'SUPERFICIE AGRICOLA'. Quanto alla definizione di 'superficie agricola', essa “rischia di innescare processi di trasformazione improvvisi, nonché irregolari, di aree che oggi non hanno una destinazione agricola, ma altre destinazioni come ad esempio completamento, ecc".
La proposta di legge, infatti, definisce come agricoli non solamente i terreni qualificati come tali dallo strumento urbanistico, ma anche le altre superfici non impermeabilizzate alla data di entrata della legge. Secondo i Comuni è opportuno “prevedere che la definizione di superficie agricola trovi la sua origine nell'ambito della strumentazione urbanistica e cioè identificando quelle aree qualificate espressamente come tali e per le quali sia riconosciuta l'espressa vocazione agricola".
FASE TRANSITORIA. I rilievi dell'Anci toccano anche la disposizione sulla fase transitoria, la quale stabilisce che dall'entrata in vigore della legge e fino all'adozione delle misure di riduzione da parte delle Regioni, e comunque non oltre il termine di tre anni, non è consentito il consumo di suolo tranne che per i lavori e le opere inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici e per le opere prioritarie.
Per l'Associazione dei comuni "la formula utilizzata non è sufficiente ad evitare il potenziale e progressivo blocco dell'attività qualora l'adeguamento degli strumenti urbanistici non si verifichi nel termine di 18-36 mesi successivi all'entrata in vigore della legge". Pertanto, l'Anci suggerisce di "individuare un regime transitorio effettivamente in grado di assicurare il passaggio dall'attuale schema di pianificazione a quello conseguente all'applicazione del nuovo regime di progressiva limitazione nel consumo del suolo".
È necessaria inoltre "la previsione di una norma di raccordo tra la normativa statale di cui al provvedimento in esame e la normativa regionale vigente sulla stessa materia". La proposta di legge, infatti, "non affronta la questione della ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni che è di stretta attualità sia per i temi trattati, sia per i riflessi che la normativa nazionale avrà sulla analoga normativa regionale".
La questione, sottolineano i Comuni, “è rilevante, ad esempio nel caso del periodo transitorio, soprattutto qualora la normativa regionale abbia definito regole diverse rispetto a quella statale in termini temporali ovvero abbia individuato definizioni difformi rispetto ad essa. Le conseguenze di una simile situazione possono dare avvio a contenziosi tra Regioni e Stato ovvero tra soggetti privati, enti locali e Stato, ovvero alla necessità, quanto meno di dover attuare processi di revisione degli strumenti di pianificazione".
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