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Decarbonizzazione in Italia: la strada è ancora lunga

Secondo il rapporto 2024 dello Zero Carbon Policy Agenda, la riduzione di CO2 dell’Italia è ancora insufficiente per raggiungere gli obiettivi del 2030

mercoledì 23 ottobre 2024 - Redazione Build News

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Continua ad andare avanti la corsa verso la decarbonizzazione in Italia, con 127 miliardi di euro investiti solo nel 2023, ma gli obiettivi del 2030 restano ancora lontani. L’edizione 2024 dello Zero Carbon Policy Agenda, redatto dall’E&S della School of Management del Politecnico di Milano, mostra come la riduzione di CO2 prodotta dall’Italia sia ancora insufficiente nonostante il trend positivo a lungo termine.

Obiettivi e investimenti

Gli investimenti realizzati dall’Italia nel 2023 di cui si è accennato equivalgono a un quarto di tutti gli investimenti realizzati nel Paese, ma per raggiungere gli obiettivi europei del 2030 è necessario ridurre di circa 21 MtCO2eq/anno la produzione di CO2. Dal 2005 la riduzione è stata di circa 12 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l’anno (-36% in 20 anni). Sebbene il trend a lungo termine sia positivo, con una diminuzione delle emissioni che supera quella europea grazie al calo dei consumi energetici, a una maggiore efficienza e all’espansione delle rinnovabili, il PIL italiano è cresciuto solo del 18% dal 2005 al 2023, rispetto all'85% della media UE.

I settori che più di tutti sono rimasti indietro sulla decarbonizzazione, e anche maggiormente responsabili delle emissioni, sono trasporti (28%), produzione di energia e calore (20%), consumi residenziali e commerciali (16%).

Per quanto riguarda gli interventi privati, l’ESG e la finanza sostenibile stanno cambiando il panorama degli investimenti. Tuttavia, esiste una netta differenza tra le aziende quotate, che prestano sempre più attenzione alle questioni ambientali, e quelle non quotate, dove l’impegno tende a diminuire all’aumentare della dimensione aziendale.

I fondi europei

“Si tratta di numeri importanti – conferma Vittorio Chiesa, direttore di E&S – che testimoniano la rilevanza della decarbonizzazione in Italia anche in termini industriali e occupazionali e che devono spingere a fare di più e meglio, proprio per non rendere vano lo sforzo profuso finora. Noi siamo convinti che il cambio di passo sia ancora possibile, soprattutto se si considera il grande potenziale inespresso, da parte sia del pubblico che del privato. Pensiamo al PNRR: l’Italia ha ottenuto oltre 194 miliardi di euro, più di ogni altro Stato europeo, ma ha destinato alle misure climatiche poco più del minimo previsto dall’Europa (41%, contro il 50% della Francia, che ha avuto un quinto dei nostri fondi, e il 47% della Germania) e gli interventi stanno andando a rilento, con solo il 36% realizzato nel terzo trimestre 2024 contro il 64% previsto. Lo stesso dicasi per i fondi REPowerEU: abbiamo ricevuto la cifra più alta, ma solamente il 68% è servito per obiettivi climatici, contro una media europea dell’85%. Va sicuramente meglio il quadro delle riforme, ormai completo, ma sarà necessario attendere perché possa produrre effetti concreti”.

Venendo poi alle azioni introdotte dai privati, è indubbio che l’ESG e la finanza sostenibile stiano trasformando il mondo degli investimenti, integrando criteri ambientali, sociali e di governance nelle decisioni finanziarie per promuovere uno sviluppo economico responsabile e duraturo. “Gli indicatori ESG hanno spinto le imprese a decarbonizzare – spiega Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio – nonostante la valutazione delle performance sia frammentata e manchi di una standardizzazione universale, creando una notevole eterogeneità tra i diversi provider. Tuttavia, vi è una grande differenza tra le aziende quotate, molto esposte al giudizio del mercato in termini ambientali, e quelle che non lo sono: più si scende lungo le filiere e cala la dimensione aziendale, più l’attenzione verso le tematiche green si abbassa”.

Il ruolo delle aziende italiane

Secondo l’indicatore Emission Intensity di E&S, le 40 maggiori aziende italiane quotate in Borsa, tutte con rating ESG, hanno ridotto le loro emissioni di CO2 da 0,62 a 0,39 kton per milione di euro di valore aggiunto tra il 2018 e il 2022. Tuttavia, tra le principali aziende non quotate, il 70% non adotta valutazioni ESG e la riduzione delle emissioni è minore, con un valore di 0,77 kton. Il tasso di riduzione annua per queste aziende (-8%) è inferiore rispetto a quello delle quotate (-12%).

È necessario favorire la decarbonizzazione anche nelle imprese più piccole, sostenute dalle normative europee. Tuttavia, in Italia ci sono difficoltà: la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) coinvolgerà 4.150 aziende con nuovi obblighi, e dal 2027 circa 740 grandi aziende dovranno implementare pratiche di sostenibilità lungo tutta la catena del valore, aumentando i costi e preoccupando l’industria.

Questa strada è davvero percorribile nel nostro Paese? “Durante l’ultima legislatura dell’Europarlamento l’Italia non si è distinta per l’appoggio alle principali proposte per la decarbonizzazione, come i Paesi più virtuosi - aggiunge Chiaroni -. Anzi, si è meritata la coda della classifica, alla pari con la Repubblica Ceca e meglio solo dell’Ungheria e della Polonia, lo Stato meno green in assoluto. D’altra parte, un’indagine condotta in collaborazione con ADL Consulting sulle “green keywords” nei programmi elettorali di tutte le forze politiche italiane mostra che i temi legati alla decarbonizzazione hanno un peso estremamente marginale, tra lo 0,4% e l’1,5% del totale. Inoltre, il nuovo assetto del Parlamento UE non vede più la presenza della maggioranza che aveva garantito l’entrata in vigore dei principali provvedimenti negli ultimi cinque anni, mettendo un’ipoteca sul futuro: la situazione di attesa che si è creata potrebbe portare a un ulteriore stallo nel processo di decarbonizzazione, con il rischio di bloccare gli investimenti”.

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