“In materia di condominio negli edifici, nel valutare l’impatto di un’opera modificativa sul decoro architettonico è da adottare un criterio di reciproco temperamento tra i rilievi attribuiti all’unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche e all’alterazione prodotta dall’opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sola decisiva, al fine di escludere un’attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni”.
È questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione (Sez. 2 civile) con l'ordinanza n. 16518/2023 pubblicata il 12 giugno.
Il caso di specie
Con citazione del 22/05/2004, F. R. conveniva V. P. dinanzi al Tribunale di Napoli. Costei premetteva di essere proprietaria di un appartamento con terrazzo, confinante con altro terrazzo separato da un muro di proprietà del convenuto. Lamentava che costui, nel corso degli anni: (a) aveva realizzato una serie di opere in violazione delle distanze tra le costruzioni e per le vedute; (b) aveva alterato il decoro architettonico dell’edificio. Su questa base, nella sua qualità di proprietaria dell’unità immobiliare e di condomina, domandava la condanna alla riduzione in pristino e la condanna generica al risarcimento dei danni. V. P. contestava la domanda, eccependo sia l’usucapione che la prescrizione dell’azione altrui. Il Tribunale accertava che V. P. aveva realizzato, in appoggio al muro di confine tra i due terrazzi, un manufatto abitabile composto da più vani, coperto dai seguenti tre solai calpestabili, costituenti lastrici solai, situati a differenti quote: il primo a 2,25 metri dal calpestio, raggiungibile da una scala provvisoria e privo di parapetto; i restanti due rispettivamente a 3,00 e 3,30 metri, accessibili dal primo tramite un gradino di 75 centimetri, muniti di parapetti, posizionati a 1,03 metri dal terrazzo dell’attrice e a 5,90 metri dalla finestra del salone di quest’ultima. Il giudice di primo grado accertava poi che dai due lastrici protetti è possibile sporgersi e guardare in tutte le direzioni nel fondo della vicina, applicava l'art. 905 c.c. (distanza minima di un metro e mezzo per l’apertura di vedute dirette), di conseguenza ordinava l’arretramento dei parapetti, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. Escludeva, invece, la violazione dell'art. 873 c.c., osservando che era osservata la distanza minima dalla costruzione dell’attrice, poiché era possibile costruire in aderenza al muro, in applicazione del principio della prevenzione, senza che il regolamento comunale prevedesse qualcosa in contrario. In secondo grado la pronuncia è stata confermata, previo rigetto dell’appello principale del convenuto e dell’incidentale dell’attrice.
Ricorre in cassazione l’attrice con due motivi. Resiste il convenuto con controricorso e ricorso incidentale con quattro motivi.
La questione dell'aspetto architettonico del fabbricato
Con il secondo motivo del ricorso principale, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1127 c.c., con riferimento alla valutazione delle caratteristiche e dell'aspetto architettonico del fabbricato, per avere la Corte di appello omesso qualsiasi indagine volta ad individuare, in concreto, il preciso stile del fabbricato e dell'opera realizzata, giungendo alla conclusione secondo cui «non è apprezzabile l'incompatibilità con lo stile architettonico dell'edificio». Per la Cassazione “il motivo è fondato. Come si evince dalla sentenza, il c.t.u. ha rilevato che le opere realizzate dal V. P. «alterano senz’altro lo stato originario di progetto del fabbricato. [...] Tali opere chiaramente osservabili dagli appartamenti circostanti (anche di altri edifici) a quota uguale o maggiore. [...] Le forme realizzate, quali ad esempio archi delle portefinestre, non risultano in sintonia con l'estetica del fabbricato, caratterizzata dalla linea dritta […]. Inoltre, i volumi realizzati introducono elementi di disturbo e confusione (quali ad esempio solai a differenti altezze), compromettendo ulteriormente un giudizio positivo sull'estetica del fabbricato».”
Cosa si deve intendere per decoro architettonico
La Corte territoriale ritiene di poter sottovalutare questi elementi, osservando che: «queste alterazioni sono intervenute su un prospetto dell'edificio già gravemente compromesso da plurimi interventi di altri condomini che hanno concorso a disperdere la simmetria, l'estetica e l'aspetto generale del fabbricato, oltre che dal degrado connesso alla vetustà della struttura […] Inoltre, essi non sono visibili dalla strada su cui aggetta il prospetto interessato di talché non è apprezzabile l'incompatibilità con lo stile architettonico dell'edificio, né la disomogeneità delle linee e delle strutture se non perdendo di vista l'armonia estetica dell'edificio e orientando lo sguardo da siti privati, con un'attenzione al particolare, piuttosto che all'insieme». “Tale motivazione”, osserva la Cassazione, “urta contro la giurisprudenza di questa Corte già perché attribuisce rilevanza alla visibilità delle alterazioni. Infatti, per decoro architettonico deve intendersi l'estetica del fabbricato risultante dall'insieme delle linee e delle strutture che lo connotano intrinsecamente, imprimendogli una determinata armonica fisionomia ed una specifica identità. Pertanto, è irrilevante il grado di visibilità delle nuove opere sottoposte a giudizio, in relazione ai diversi punti da cui si osserva l'edificio (cfr. Cass. 851/2007)”.
Inoltre, “sottesa all’argomentazione della Corte territoriale è l’idea che non possa avere incidenza lesiva del decoro architettonico un'opera modificativa dell’edificio, quando l’originario decoro si sia già degradato in conseguenza di interventi modificativi precedenti di cui non sia stato preteso il ripristino. Tale idea, se può vantare qualche appiglio nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4679/2009), è da coordinare con una considerazione sistemica che, nel valutare l’impatto sul decoro architettonico di un'opera modificativa, adotta un criterio flessibile, di maggiore o minore rigore, in vista delle caratteristiche dell’edificio di volta in volta sottoposto a giudizio, ove devono essere reciprocamente temperati i rilievi attribuiti all’unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche altrui e all’alterazione prodotta dall’attuale opera modificativa (cfr. Cass. 5417/2002)”.
A tutto ciò la suprema Corte aggiunge che “nel caso di specie l’allegata lesione del decoro architettonico si congiunge ad un’altra violazione accertata (in materia di distanze) che impone comunque una revisione della nuova opera. In tale contesto, far pesare in modo decisivo gli effetti delle plurime alterazioni precedenti per negare l’incidenza lesiva del decoro architettonico dell’opera modificativa sottoposta a giudizio priverebbe tale parametro estetico di qualsiasi forza normativa per il futuro, proprio nel momento in cui s’impone per altre ragioni una revisione della nuova opera. Su questa linea, cfr. già Cass. 851/2007 cit., che nega rilevanza a pregresse modifiche non autorizzate”.
Distanze tra gli edifici
Quanto al tema di distanze tra gli edifici, la Cassazione precisa che “la scelta del preveniente di costruire sul confine è definitiva, nel senso che - una volta edificato - nel sopraelevare l'opera, egli deve far combaciare il fronte della sopraelevazione con il fronte della costruzione inferiore, proseguendo in linea retta verticale, oppure deve arretrare il fronte della sopraelevazione fino a distanza dal confine non inferiore a quella legale o fino alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali vigenti al tempo della sopraelevazione”.