"Una normativa che mette a rischio la gestione e il riciclo dei rifiuti provenienti dai cantieri stradali: oltre 14 milioni di tonnellate ogni anno (stima ISPRA), una parte significativa dei quali, se la norma dovesse rimanere così com’è senza le necessarie modifiche, dovranno essere conferite in discarica, disperdendo le potenzialità economiche, ambientali e occupazionali legate al riciclo dell’asfalto. Chiediamo al Ministero dell’Ambiente di accogliere le nostre osservazioni”.
L’allarme emerge dalla nota inviata dall’Associazione SITEB – Strade ITaliane E Bitume al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica contenente le osservazioni e richieste di modifiche del Decreto ministeriale 152 del 27 settembre 2022, il cosiddetto Decreto sull’End of Waste dei rifiuti inerti.
Ogni anno la produzione annuale del rifiuto proveniente dalla demolizione di pavimentazioni stradali (noto anche come fresato d’asfalto) ammonta a circa 14.457.000 (secondo stime SITEB sarebbero addirittura 17.000.000).
Tali rifiuti sono riciclati oggi, secondo la normativa vigente ante Decreto, con impieghi:
• nella produzione di nuovo conglomerato bituminoso a caldo, per circa 9.600.000 tonnellate;
• nella produzione di nuovo conglomerato bituminoso a freddo, per circa 800.000 tonnellate;
• nella produzione di aggregati riciclati, per il restante quantitativo 4.100.000 tonnellate.
Stando all’attuale versione del testo del Decreto, il recupero nella produzione degli aggregati riciclati, così come lo conosciamo oggi, sarebbe impossibile in quanto tali aggregati, prodotti con miscele bituminose, non sarebbero conformi alle limitazioni di concentrazione di idrocarburi previste, in netto contrasto con la norma tecnica di riferimento che prevede un impiego di “fresato” anche del 30%.
Quindi una quota consistente di conglomerato bituminoso demolito (4.100.000 tonnellate, se non addirittura 6.600.000 secondo le stime SITEB) dovrebbe essere avviata non più a riciclo, ma a smaltimento finale in discarica, in palese contrasto con i principi dell’economia circolare, con gli obiettivi di riciclo fissati a livello europeo e, non ultimo, con la necessità di pianificare urgentemente nuove adeguate discariche (pena il blocco delle demolizioni).
Ciò produrrebbe pesanti ricadute anche sull’intero settore delle costruzioni, dal recupero del fresato sino ai cantieri per la realizzazione del piano di opere strategiche previste nel PNRR.
Sono tre le principali osservazioni e richieste sottoposte all’attenzione del Ministero nella nota tecnica inviata dall’Associazione:
1. Rivedere i limiti di concentrazione massima di sostanze legate agli idrocarburi, prescritti nel Decreto, eccessivamente ristrettivi e sproporzionati rispetto ai reali rischi connessi al riciclo di questi materiali.
2. Occorre chiarire gli ambiti di sovrapposizione tra questa normativa e quella già esistente sull’End of Waste per il fresato d’asfalto (DM 69/18), con particolare riferimento a quanto previsto per il conglomerato bituminoso demolito.
3. Va modificata la previsione secondo cui le attività di riciclo del fresato d’asfalto dovranno essere sottoposte a certificazione di qualità ISO9001, oltre alla marcatura CE già oggi obbligatoria e sufficiente a garantire la sicurezza delle procedure di controllo della produzione. Tale nuovo obbligo produrrebbe un impatto burocratico sproporzionato, che rischierebbe di bloccare le attività e favorire il ricorso alla materia prime vergine.
“Secondo nostre stime”, afferma Stefano Ravaioli, Direttore SITEB, “il riutilizzo del 30% del fresato, dato attualmente registrato in Italia, nella produzione di conglomerato bituminoso, comporta ogni anno il minor impiego di 380.000 tonnellate di bitume vergine (riduzione del fabbisogno di petrolio) e il recupero di 9.480.000 tonnellate di inerti, equivalenti in termini economici ad un risparmio di circa 370-380 milioni di euro di sole materie prime”.
“Producendo conglomerato con il 100% del fresato”, ha concluso Ravaioli, “il risparmio economico salirebbe fino a 1.200 milioni di euro/anno di sole materie prime, senza considerare tutti i vantaggi ambientali dovuti a minori importazioni di petrolio, al minor ricorso alle cave, ai minori trasporti di materie, ai minori costi di lavorazione e alle minori emissioni in atmosfera. In questo modo si eviterebbe la produzione di bitume di 3 raffinerie di medie dimensioni.
In Italia, se non si modificherà la normativa sull’end of waste dei rifiuti inerti, questo potenziale rischia di andare disperso”.
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