Si è svolta il 12 giugno l’audizione dell'Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) presso la Commissione Ambiente della Camera, nell’ambito dell’esame, in prima lettura, in sede referente, del Decreto Salva-Casa - DL 69/2024 “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica” (DDL 1896/C).
Il Vicepresidente Ance Edilizia e Territorio, Stefano Betti, ha evidenziato, in premessa, che il decreto interviene ad apportare una serie di modifiche al DPR 380/2001 “Testo Unico Edilizia” con l’obiettivo di superare alcune delle rigidità che caratterizzano questa normativa e agevolare in primis la commerciabilità degli immobili, soprattutto a destinazione residenziale, fino ad oggi resa difficile a causa della presenza di difformità minori rispetto allo stato legittimo dell’immobile.
Si tratta di un provvedimento che per la prima volta cerca di mettere a sistema le diverse problematiche riscontrate nel tempo e che in passato hanno trovato delle soluzioni “straordinarie” (es. CILAS Superbonus).
L’ Ance valuta positivamente l’attenzione che il Governo dedica a questa tematica con un Decreto-legge che rappresenta un intervento di buonsenso per creare le premesse per l’avvio di ampi processi di adeguamento del patrimonio edilizio esistente ai nuovi standard tecnici, tecnologici e in ultimo di vivibilità.
Senza la risoluzione delle questioni attinenti alle piccole difformità si rischierebbe, infatti, di bloccare di fatto le operazioni di adeguamento necessarie anche alla stessa attuazione della direttiva sulla prestazione energetica (Direttiva Case Green).
Serve revisione della disciplina edilizia in un’ottica organica e integrata
Il Decreto, tuttavia, interviene nuovamente con modifiche puntuali al Dpr 380/2001 proseguendo la strada intrapresa da ormai 14 anni che ha visto la normativa edilizia oggetto di numerose modifiche attraverso l’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza (es. DL 40/2010; DL 70/2011; DL 69/2013; DL 76/2020, ecc.).
Questo mostra come sia importante ed urgente arrivare ad una revisione della disciplina edilizia in un’ottica “organica” e in una visione “integrata” che tenga conto della necessità di superare e modificare tutte le normative obsolete e anacronistiche su cui si regge la complessiva materia edilizia e urbanistica.
Per fare questo occorre scardinare tutti quei meccanismi normativi che impediscono di fatto l’attuazione degli interventi di trasformazione urbana, primo fra tutti il DM 1444/68 sino ad arrivare ad una riforma dei principi su cui si regge la legge urbanistica ferma al 1942 e alla definizione di una legge sulla rigenerazione urbana. Al contempo è necessario riattualizzare il decreto del 1975 sui requisiti igienico-sanitari per garantire che le norme possano adattarsi meglio alle nuove esigenze e all’evoluzione dei contesti abitativi.
Secondo l'Ance c’è bisogno di una presa di responsabilità da parte di tutti ed in primis delle istituzioni nazionali affinché vengano colmate con urgenza le lacune normative che, soprattutto dal punto di vista urbanistico-edilizio impediscono il cambiamento e mostrano attualmente una fortissima inadeguatezza.
Certezza delle regole e del diritto
Alla necessità di arrivare ad una visione più integrata della materia urbanistica ed edilizia si affianca – sottolinea l'Associazione dei costruttori – il tema della certezza delle regole che qualsiasi riforma deve essere in grado di garantire.
È quanto è emerso con particolare risalto nell’ambito di alcune vicende che stanno interessando la città di Milano che, proprio per l’assenza di un sistema di regole che dia garanzie a cittadini, operatori ed investitori del settore, sta bloccando la città.
Da un lato la presenza di norme nazionali contenute ancora nella Legge del 1942 e nel DM 1444/68 pensate per far “sviluppare” ex novo un territorio ancora non urbanizzato e che dovrebbero esse “riadattate” ad oggi, dove l’esigenza è quella di favorire la “rigenerazione urbana”.
Dall’altro gli strumenti edilizi contenuti nel DPR 380/2001 che da più di 10 anni cercano di spingere le azioni verso questa direzione ma che di fatto si scontrano con “letture” interpretative divergenti.
Il richiamo è al tema della demolizione e ricostruzione che ha visto nel 2002 una sua inclusione nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia con l’esplicita eliminazione del concetto di “successiva e fedele ricostruzione”.
Successivamente, a seguito di ulteriori interpretazioni normative contrastanti, il legislatore è intervenuto nel 2013 (DL 69/2013) ampliando la nozione di demolizione e ricostruzione eliminando il rispetto della sagoma.
Per poi arrivare nel 2020 (DL 76/2020) con la previsione di ulteriori modifiche con cui il legislatore ha espressamente indicato i requisiti che possono essere variati nell’edificio da ricostruire come richiamati dagli stessi lavori preparatori della Legge di conversione del DL 76/2020 (Atto n. 1883 del Senato), dove si legge che “Un primo obiettivo è quello di consolidare quanto stabilito dal legislatore con il decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 e con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 ma che è stato disconosciuto da talune posizioni giurisprudenziali anche recenti), vale a dire che gli interventi di ristrutturazione ricostruttiva possono prevedere che l’edificio da riedificare presenti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche differenti rispetto a quello originario.”
A distanza di 4 anni siamo di nuovo al punto di partenza e si ritorna a discutere di questo tema e della “certezza del diritto” che troppe volte è assente in questo ordinamento determinando una grave “instabilità” su cui auspichiamo si trovi una soluzione “equilibrata”.
Politiche di sostegno dell’abitare integrate con quelle di rinnovo urbano
Nell’ambito delle azioni sulle quali l'Ance auspica un intervento vi è, inoltre, il tema casa nei suoi aspetti più complessivi come risposta al fabbisogno abitativo.
Se l’obiettivo prioritario deve essere quello di favorire l’accesso alla casa a condizioni sostenibili, servono politiche di sostegno dell’abitare integrate con quelle di rinnovo urbano inteso come sostegno alla qualità dell’abitato (non solo riqualificazione degli edifici ma rinnovamento del contesto urbano che comprende l’accessibilità, la mobilità, i servizi e le attrezzature di interesse collettivo).
Per fare questo servono strumenti condivisi che è poi l’obiettivo del Tavolo Piano Casa costituto presso il Ministero delle Infrastrutture e di cui questo Decreto-legge rappresenta una prima parte.
In questo quadro il nuovo “piano casa” deve essere in grado di anticipare tutta una serie di misure che siano di supporto ai comuni e agli operatori privati e nello stesso tempo siano di aiuto per la costruzione di quartieri che sappiano modellarsi con la stessa velocità con cui si evolvono le esigenze e i bisogni della società.
Ampliare il cambio della destinazione d’uso
Sotto questo profilo è di evidenza l’importanza che assume oggi il cambio della destinazione d’uso nelle politiche urbane.
Per questo motivo, passando ad un esame più specifico delle previsioni contenute nel DL 69/2024, si ritiene prioritario riservare una maggiore attenzione alle norme con cui il decreto interviene ad affrontare il tema dei mutamenti d’uso.
In primo luogo, si ritiene che sia da valutare maggiormente la possibilità che le norme agevolative del decreto siano estese anche ai cambi con opere, in quanto nei processi dei cambi d’uso non è l’intervento edilizio in sé che influisce (le cui possibilità sono espressamente consentite dai piani urbanistici), quanto la relativa funzione e, pertanto, il nuovo uso che si assume all’interno della singola unità immobiliare.
Dato, inoltre, che il Decreto interviene su singole “unità immobiliari” e non su immobili “interi”, sarebbe opportuno consentire sempre il cambio d’uso quando il passaggio avvenga tra categorie omogenee senza alcun tipo di condizione (es. da residenza a studio professionale e viceversa, ecc.). D’altronde già molte leggi regionali hanno previsto queste operazioni classificando le destinazioni d’uso tra loro omogenee e consentendo questi passaggi.
Con riferimento alla possibilità di cambiare la destinazione tra categorie differenti (es. da residenziale a ricettivo, da commerciale a direzionale, ecc.), il decreto-legge ha sicuramente il pregio di voler aprire ad un principio di indifferenza funzionale per determinate zone urbanistiche (zona A, B e C), ma alcune delle condizioni poste rischiano di fatto di vanificarne il relativo intento. Anche in questo caso si tratta di norme relative alle “singole unità immobiliari” e, per questo motivo, si ritiene che sia necessario:
- circoscrivere maggiormente i casi per i quali gli strumenti urbanistici possono prevedere delle “condizioni” a quelle situazioni che possono contrastare con particolari interessi pubblici (es. sicurezza, salute pubblica);
- eliminare l’obbligo per cui il mutamento sia finalizzato alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare “conforme a quella prevalente” nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile.
In merito a quest’ultimo aspetto, il principio della “prevalenza” di fatto porterebbe ad ingessare ancora di più le zone dei nostri quartieri con il rischio di una “mono-funzionalità” rispetto alle necessaria “mixitè funzionale”.
In molte Regioni sono presenti da anni concetti come la “compatibilità, la complementarità ecc..” per facilitare i cambi d’uso nell’ottica della rigenerazione urbana e comunque norme di maggiore incentivazione che si ritiene debbano essere salvaguardate.
Varianti ante 1977
Secondo l'Ance è necessario salvaguardare queste situazioni dato che prima del 1977 non era disciplinata l’ipotesi della parziale difformità e delle varianti in corso d’opera. Il progettista incaricato utilizzava tecniche di rappresentazione grafica manuale, con tutte le approssimazioni del caso, compresa la sintesi tra le componenti del progetto limitandosi ad esempio ad indicare un “piano tipo” da considerare valido anche per gli altri livelli previsti. Tutte le misurazioni non avevano di certo il carattere di estrema precisione che oggi invece le tecnologie informatiche e strumentali consentono; il tecnico comunale incaricato del sopralluogo per il rilascio dell’agibilità riportava graficamente le eventuali difformità direttamente sul progetto depositato in Comune (e le disegnava a mano) ritenendole non rilevanti rispetto ai requisiti edilizi ed igienico sanitari al tempo vigenti. Ferma restando l’esigenza di contrastare l’abusivismo edilizio, vi è quindi la necessità di fornire una risposta semplice ed efficiente a queste casistiche di difformità che, in considerazione delle loro caratteristiche e del tempo trascorso, richiedono di essere valutate diversamente rispetto all’attuale quadro normativo.
Stato legittimo
Occorre chiarire maggiormente nella presentazione dei titoli abilitativi riguardanti gli interventi sulle parti comuni di edifici condominiali, che le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili e i relativi accertamenti dello Sportello unico per l’edilizia, sono riferiti esclusivamente alle parti degli edifici interessate dai medesimi interventi, rimanendo impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità delle restanti parti dei medesimi edifici.
Tolleranze
Nel condividere gli aumenti percentuali, Ance ritiene necessario eliminare il limite temporale introdotto al fine di riportare le tolleranze alla loro finalità di errori costruttivi ed estenderne l’applicazione alle difformità minori dove è certo il legittimo affidamento dei privati.
Nuovo accertamento di conformità per le parziali difformità
Occorre chiarire maggiormente alcuni aspetti applicativi in rapporto anche alla relativa applicazione agli immobili vincolati.
Destinazione proventi
Accanto alla possibilità di destinare una quota pari ad un terzo delle entrate derivanti dall’applicazione di alcune delle nuove norme sia alla demolizione di opere abusive che alla realizzazione di interventi di rigenerazione urbana in generale, si ritiene opportuno che tali proventi siano anche messi a disposizione dei Comuni per la riduzione dei fenomeni di disagio abitativo.