L’articolo 9 del Decreto Siccità (DL n. 39/2023) che ora è legge modifica l’art. 127 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) – ove si disciplina la sottoposizione dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue alla normativa in materia di rifiuti – al fine di precisare che tale sottoposizione opera comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione.
L’articolo modifica il primo periodo del comma 1 dell’art. 127 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) – ove si disciplina la sottoposizione dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue alla normativa in materia di rifiuti.
Il testo previgente del citato primo periodo del comma 1 dell’art. 127 del Codice dispone che – ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, recante “Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura” – i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione.
La modifica recata dalla norma in esame è volta a precisare che la sottoposizione di cui trattasi opera comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione.
La relazione illustrativa, riporta un dossier parlamentare del 3 giugno 2023, sottolinea che la norma in esame “intende precisare la portata della disciplina vigente, specie con riferimento all’ambito di applicazione temporale della stessa” chiarendo che “la disciplina in materia di rifiuti non si applica ai fanghi prima del termine del processo di trattamento, comprensivo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, delle fasi di essiccamento, digestione anaerobica, compostaggio, qualora svolte all’interno del sito preposto alla depurazione dal medesimo soggetto gestore”.
Si tratta di una precisazione che ribadisce quanto recentemente evidenziato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica in risposta all’interpello n. 156315/2022. In tale risposta infatti si legge che “fin quando non sia concluso il processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, i fanghi sono regolamentati dalla disciplina di cui alla Parte III del D.lgs. 152/2006. Solo dopo, ove applicabile la disciplina dei rifiuti, anche ai sensi dell’art. 184 gli stessi sono classificati come rifiuti speciali” (si ricorda che, ai sensi dell’art. 184, comma 3, lettera g), del Codice dell'ambiente, rientrano nella categoria dei rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dall'attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie”).
In relazione alla gestione e all’utilizzo dei fanghi di depurazione, nel corso dell’audizione del Direttore dell'Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA-CNR) svolta, nella scorsa legislatura, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati in data 24 marzo 2022, è stato sottolineato che tali fanghi “sono l'inevitabile prodotto del processo di depurazione delle acque reflue urbane. Infatti, non può avvenire alcuna depurazione delle acque reflue senza produrre necessariamente fanghi, anzi più depuriamo e più produciamo fanghi. Tutti i fanghi prodotti nei depuratori gestiti nell'ambito del servizio idrico integrato sono fanghi urbani, cui da sempre compete il codice CER (Catalogo europeo dei rifiuti) 19 08 05, che identifica un rifiuto non pericoloso assoluto proprio in virtù dell'attività da cui ha avuto origine… Dall'ultimo rapporto ISPRA in Italia nel 2019 sono state prodotte 3,4 milioni di tonnellate di fanghi e, se consideriamo 72 milioni di abitanti equivalenti, soggetti all'attività di depurazione, emerge una produzione di fanghi pari a circa 47 kg abitante equivalente all'anno, che (…), 47 kg è un dato medio (…). Per quanto riguarda il destino dei fanghi, (…) i dati ISPRA ci dicono che nel 2019 circa il 41 per cento dei fanghi è recuperato in agricoltura o direttamente o previa trasformazione in ammendanti di quel compost e correttivi del terreno. Quali sono le alternative al recupero in agricoltura? Sono, per esempio, lo smaltimento in discarica o al recupero in cementerie previo essiccamento termico e in sporadici casi, (…) l'incenerimento, il cui ricorso è sensibilmente inferiore rispetto ad altri Paesi europei”.