Via libera dal Consiglio di Stato, con alcune condizioni, allo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la “disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”.
Il provvedimento è stato sottoposto al vaglio di Palazzo Spada dal ministero dell'Ambiente dopo l'acquisizione del concerto del ministero delle Infrastrutture e il parere della Conferenza Unificata espresso il 17 dicembre 2015, nonché dopo la consultazione pubblica della quale alcuni rilievi sono stati accolti dal dicastero guidato da Galletti.
LE CONDIZIONI POSTE DA PALAZZO SPADA. Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole con le condizioni di cui ai nn. 4.5, 5, 5.1 e 5.2 che riportiamo (neretto nostro).
4.5. “Per quanto concerne il rispetto del criterio direttivo di cui alla lettera d), relativo al “divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dall'ordinamento europeo ed, in particolare, dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008”, la Sezione rileva preliminarmente che - come già esplicitato al precedente n. 2 - è tutt’ora in corso la procedura EU pilot n. 5554/13/ENVI, avviata dalla Commissione Europea nei confronti dello Stato italiano in relazione al contenuto del d.m. n. 161 del 2012 - che sarà abrogato ai sensi dell’art. 31 dello schema, a far data dall’entrata in vigore di quest’ultimo - nella parte in cui prevede la possibilità di gestire le terre e le rocce da scavo come sottoprodotti a seguito del “silenzio assenso” dell'Amministrazione e nella parte in cui include alcune operazioni, ritenute in sede comunitaria come “operazioni di trattamento dei rifiuti”, nell'elenco delle normali pratiche industriali di cui all’allegato 3.
Per quanto concerne la prima delle suesposte problematiche, la Sezione rileva, tuttavia, che la Commissione Europea, tramite la nota del 1° settembre 2015, ha comunicato di “prendere atto” delle considerazioni formulate in tema di silenzio assenso dall’Amministrazione nazionale, concernenti: la circostanza secondo cui “nella materia contigua della cessazione della qualifica di rifiuto… è lo stesso diritto UE a consentire l’autocertificazione”; il fatto che “le competenti amministrazioni italiane possono sempre eseguire controlli e sanzionare irregolarità, anche dopo lo scadere del termine di 90 giorni”; nonché la circostanza che “il diritto italiano prevede sanzioni per chi dichiara il falso in sede di autocertificazione”, invitando l’Amministrazione a trasmettere la bozza di modifica sul punto o, in alternativa, il calendario per l’adozione della modifica de qua.
Inoltre, l’Amministrazione proponente, tramite il procedimento di cui all’art. 9 del presente schema, ha proceduto, in coerenza con quanto già esplicitato dalla medesima Amministrazione in sede comunitaria, a superare il previgente meccanismo del “silenzio assenso”, previsto dal d.m. n. 161 del 2012, adottando un modello procedimentale simile a quello previsto per la segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) - secondo cui “decorsi novanta giorni dalla presentazione del piano di utilizzo … il proponente, a condizione che siano rispettati i requisiti indicati nell’articolo 4, comma 2, avvia la gestione delle terre e rocce da scavo nel rispetto del piano di utilizzo, fermi restando gli eventuali altri obblighi previsti dalla normativa vigente per la realizzazione dell'opera” - ed ha, altresì, rafforzato il sistema dei controlli precedentemente previsto, disponendo, tra l’altro, che le Autorità a ciò deputate effettuino, con cadenza almeno annuale, “le ispezioni, i prelievi e le verifiche necessarie ad accertare il rispetto degli obblighi assunti nel piano di utilizzo” (comma 7 del medesimo art. 9).
Con riferimento a quanto precede, la Sezione prende atto delle motivazioni addotte dal Governo italiano per giustificare le modifiche proposte per superare i rilievi emersi in sede di procedura EU pilot e rileva che le medesime sono volte anche al condivisibile scopo di semplificare le procedure autorizzatorie per la gestione delle terre e delle rocce da scavo come sottoprodotti.
La Sezione, tuttavia, non può non sottolineare che - in relazione alla delicatezza della materia in esame soprattutto per ciò che concerne il labile confine sussistente fra rifiuti e sottoprodotti - sarebbe necessario integrare il regime dei controlli previsto dalla norma de qua con un sistema di controlli “randomizzati” al fine di rendere l’intervento statale più efficace e penetrante in un settore che presenta anche rilevanti riflessi d’ordine penale.
In relazione al secondo dei rilevi formulati dalla Commissione nel corso della procedura EU pilot di cui si converte, la Sezione osserva che nell’allegato 3 al presente schema non sono più ricomprese fra le “normali pratiche industriali” - a differenza di quanto invece previsto dall’allegato 3 al d.m. n. 161 del 2012 - quelle relative alla “stabilizzazione a calce” ed alla “riduzione della presenza nel materiale da scavo degli elementi/materiali antropici”, considerate come operazioni di trattamento dei rifiuti dalla Commissione Europea.
Pertanto, anche sotto questo profilo, la Sezione - salvo quanto si dirà al successivo n. 5.2 relativamente alla formulazione dell’allegato in esame - non ha osservazioni da proporre in merito al contenuto delle modifiche testè illustrate, atteso che le medesime sono esplicitamente finalizzate ad evitare che la procedura EU pilot n. 5554/13/ENVI sfoci in una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.
Per quanto riguarda il rispetto dei limiti previsti dalla direttiva 2008/98/CE, di cui al criterio direttivo in esame, l’Amministrazione ha precisato di aver proceduto ad introdurre, agli artt. 9 (“piano di utilizzo”), 15 (“aggiornamento del piano di utilizzo”), 21 (“dichiarazione di utilizzo per i cantieri di piccole dimensioni”) e 22 (“cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA e AIA”), delle procedure semplificate per la gestione delle terre e rocce da scavo proprio al fine di rispettare i livelli di regolamentazione previsti in sede comunitaria: alla Sezione, pertanto, non resta che prendere atto di quanto riferito dall’Amministrazione proponente in merito al rispetto del criterio direttivo de quo, con la conseguenza che - non risultando quanto precede né illogico né irragionevole - la Sezione non ha rilievi da formulare al riguardo”.
5. “Per ciò che concerne le singole norme del Regolamento, la Sezione deve rilevare che l’art. 2, lettera b) dello schema reca uno specifico intervento in materia di amianto, stabilendo che le terre e rocce da scavo possono contenere detto materiale nel limite massimo di 100 mg/kg.
La relazione ministeriale precisa che con tale intervento “è stato sostituito” il divieto della presenza di amianto nelle terre e rocce da scavo; che detto limite corrisponde alla quantità di amianto “verificabile con l’applicazione delle migliori metodiche disponibili” e che il succitato valore “è stato indicato dall’Istituto superiore di sanità in uno specifico parere trasmesso dal ministero della salute…e si basa sull’esperienza operativa di alcune Arpa”.
In proposito la Sezione deve rilevare che quanto comunicato dall’Amministrazione riferente non risulta documentato da alcun atto depositato presso la Segreteria della Sezione da cui possano evincersi i necessari elementi istruttori utilizzati dall’Amministrazione stessa per raggiungere le succitate conclusioni e, conseguentemente, che la scelta di superare il divieto della presenza di amianto non risulta adeguatamente motivata nella relazione ministeriale, che peraltro si è limitata a sostenere che tale modifica si è resa necessaria anche perché “la formulazione pregressa, consistente nel divieto assoluto, non era verificabile in concreto”.
Ne consegue che la Sezione non può in alcun modo condividere la scelta normativa operata dall’Amministrazione che - in assenza di motivazioni puntualmente e accuratamente documentate richieste dalla rilevanza della problematica in esame - va espunta dal testo del regolamento in esame”.
5.1. “La Sezione rileva, inoltre, che l’art. 27 del regolamento prevede che agli interventi in itinere per i quali è in corso una specifica procedura ai sensi del d.m. n. 161 del 2012 e dell’art. 41 bis del d.l. n. 69 del 2013 può essere applicata la nuova procedura se entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente schema di regolamento “sia stato presentato un piano di utilizzo adeguato alle disposizioni e alle procedure contenute nel presente schema di regolamento”.
A giudizio della Sezione, tuttavia, il contenuto facoltativo di tale disposizione - evidentemente volta ad evitare soluzioni di continuità fra la succitata normativa e quella prevista dallo schema in esame - lascia spazio a incertezze interpretative relativamente all’assoggettabiltà dei progetti alla nuova disciplina, con la conseguenza che viene rimesso ai singoli soggetti interessati la scelta della normativa da applicare: fattispecie questa che, rivelandosi quantomeno inopportuna in materia ambientale, comporta la necessità di precisare in maniera più puntuale il contenuto dispositivo dell’articolo in questione”.
5.2 “La Sezione osserva, altresì, che l’allegato 3 (“Normale pratica industriale”) allo schema di regolamento - di cui si è già detto al precedente n. 4.5. - reca al primo periodo una definizione di normale pratica industriale che incide in via diretta sul contenuto del regolamento stesso e che, quindi, non si sostanzia in una norma tecnica in senso stretto.
Tale norma, quindi, in ragione del suo contenuto dispositivo, potrebbe trovare collocazione più idonea nel testo del regolamento e precisamente nell’articolo 2, lettera r) che reca le definizioni applicabili allo schema stesso.
Sempre con riferimento all’allegato 3, la Sezione osserva che il secondo capoverso richiama “a titolo esemplificativo” le operazioni che più frequentemente rientrano fra quelle considerate di “normale pratica industriale”.
Anche la formulazione di tale previsione normativa determina incertezza nella sua concreta applicazione, rimettendo alla valutazione di soggetti terzi le operazioni che possono rientrare fra quelle di normale pratica industriale: fattispecie questa che si palesa quantomeno inopportuna vista la delicatezza della materia ambientale e in considerazione della sussistenza di una procedura comunitaria sul tema delle normali pratiche industriali.
La sezione ritiene, pertanto, che il succitato periodo dovrebbe essere circostanziato in maniera più puntuale al fine di superare la suesposta problematica”.